Acqua potabile contaminata: un problema invisibile

Certamente chi compra acqua in bottiglia si ritiene esente da tale problema ma: quando mettiamo in casa la classica acqua per la pasta forse non ci abbiamo pensato? Oppure quando ci sciacquiamo la bocca dopo esserci lavati i denti… o ci facciamo una doccia…ecc..sono innumerevoli i modi in casa sull’ utilizzo dell’ acqua. Secondo gli ultimi studi condotti su di essa, sono centosessantasei i tipi di pesticidi rilevati nelle acque di falda. Il 13,2% delle acque superficiali mostra livelli superiori ai limiti: il grido d’allarme è stato lanciato dall’Ispra nel “Rapporto Nazionale Pesticidi nelle Acque 2013”. Il resoconto, ha analizzato l’evoluzione della contaminazione sulla base dei dati raccolti a partire dal 2003, mostra un aumento della frequenza di pesticidi e arsenico nei campioni esaminati. Le rilevazioni fanno il paio con le preoccupazioni dell’Organizzazione Mondiale della sanità (OMS). “Le dinamiche dell’inquinamento delle acque, soprattutto di falda, sono molto lente, quindi, anche se si interviene in corsa non si ottengono effetti immediati”, ha spiegato l’ingegner Pietro Paris, l’estensore del documento Ispra. Eppure anni fa era già emerso questo problema, dove si riportava sulle testate giornalistiche:

«Acqua contaminata
da un rubinetto su quattro»

Ricerca su 50 città in 17 regioni. Dai derivati del cloro ai batteri, le sostanze pericolose

L’obiettivo era quello di esaminare la qualità delle acque che si bevono: quelle dei rubinetti di abitazioni e quel­le minerali imbottigliate in Pet (le clas­siche bottiglie di plastica) di 24 diffe­renti marchi, corrispondenti al 73% del mercato. In totale oltre 35.000 analisi. Nelle città principali (Milano, Torino, Napoli, Roma, Venezia, Bari, Grosseto, Firenze, Pavia, Vercelli, Novara, Bolo­gna, Genova) i campioni prelevati dai rubinetti sono stati almeno una venti­na in case di zone diverse. Massimiliano Imperato, docente di Idrologia e Idrogeologia dell’università Federico II di Napoli e Direttore del Ce­ram (Centro europeo di ricerca acque minerali), è il coordinatore dello stu­dio. Spiega: «I risultati ottenuti indica­no elementi di criticità igienico-sanita­ria nelle abitazioni, dovuti soprattutto alla presenza di contaminanti di natura chimica (composti organo alogenati e trialometani) e microbiologica». Ad oggi, questi problemi sembra che non siano stati risolti;

L’esempio più emblematico è quello dell’atrazina che, seppur sospesa dall’uso agricolo sin dalla metà degli anni ottanta, è ancora una tra le sostanze che si rinvengono nelle falde acquifere del nord Italia, dove questo componente chimico è stato per molti anni intensamente utilizzato. “Il nostro Paese si trova ora ad affrontare due problemi: una di persistenza ambientale di agenti chimici che a volte non si degradano e un problema di dinamiche di ricambio molto lente che nel caso dell’atrazina è di decenni”, spiega ancora Paris. Secondo il tecnico dell’Ispra, per minimizzare i rischi legati a questo tipo di inquinamento sarebbe necessario intervenire con azioni di prevenzione, perché molto spesso un intervento di revoca da parte degli organi dello Stato di una sostanza dal mercato “non dà effetti immediati ma richiede tempi di rientro molto lunghi”.

La contaminazione appare più diffusa nella pianura padano-veneta (a causa alle caratteristiche idrologiche di quell’area, del suo intenso utilizzo agricolo e al fatto, non secondario – osserva l’Ispra – che le indagini sono sempre più complete e rappresentative nelle regioni del nord), ma anche al centro sud, i miglioramenti del monitoraggio stanno portando alla luce una contaminazione significativa. “Le nostre reti di controllo sono capillari: esaminiamo oltre 1200 punti di acque artificiali e 2300 punti di acque sotterranee, tuttavia, non abbiamo dati certi sulla qualità né dell’ acqua potabile distribuita nelle case, né del liquido contenuto nelle bottiglie di acqua minerale”, rileva ancora Paris.

I pesticidi, chiarisce ancora il tecnico, “non conoscono confini amministrativi, quindi quelle sostanza ce le ritroviamo un po’ dappertutto”. Per tentare di arginare il fenomeno è necessario pensare a una agricoltura diversa. “Il processo è iniziato: negli ultimi 15 anni c’è stata una importante revisione delle sostanze”, suggerisce Paris. E’ necessario agire: i pesticidi hanno sempre un effetto negativo su tutti gli organismi viventi. Trovare la correlazione causa effetto è impegnativo ed è ancora più gravoso capire quali effetti possono produrre i cocktail di sostanze chimiche nelle falde. Gli effetti di una esposizione prolungata all’arsenico o all’atrazina o a cocktail di sostanze tossiche attraverso l’acqua potabile possono essere i precursori di cancro, lesioni cutanee, malattie cardiovascolari. Ecco perché secondo Luigi Manzo, docente di tossicologia medica all’Università degli Studi di Pavia, occorre “tenere alta la guardia”: “Secondo alcune ricerche, l’atrazina potrebbe essere (ma il condizionale è ancora d’obbligo) una delle cause scatenanti di alcune malattie degenerative come, per esempio, il Parkinson”.

Sempre per Manzo, occorre tenere sotto controllo anche le quantità di arsenico utilizzato per qualunque fine, perché “ci sono aree geografiche dove c’è una importante presenza naturale di arsenico: aggiungerne altro potrebbe provocare un aumento della soglia di rischio”, conclude lo studioso. Il valore dei suggerimenti del docente hanno oggi un valore ancora più ricco di significati alla luce dell’emergenza arsenico nell’acqua lanciato dalla regione Lazio, dove, in particolare nel Viterbese, è stato segnalato il rischio di un inquinamento di tutta la catena alimentare: concentrazioni di arsenico superiori ai livelli consentiti sono state infatti rilevate, ad esempio, nel pane prodotto in quell’area. Lo dimostrano gli ultimi dati di uno studio effettuato dall’Istituto superiore della Sanità (Iss) con la collaborazione dell’ Ordine dei medici.

Un problema crescente degli ultimi giorni interessa Viterbo, dove 16 comuni del viterbese, interessati dall’emergenza arsenico nell’acqua, la concentrazione della sostanza nell’organismo è oltre il doppio rispetto a quella nella popolazione generale. Maggiori concentrazioni sono state rilevate anche nei bambini. I nuovi dati sono in via di pubblicazione su riviste scientifiche. Le analisi sono state condotte su campioni di unghie e urine di 269 soggetti sani (da 1 a 88 anni di età) residenti nelle aree a rischio.

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Nei viterbesi, la concentrazione della sostanza nelle unghie è risultata pari a 200 nanogrammi per grammo contro gli 82 nanogrammi di un gruppo di controllo nella popolazione generale. Per l’Oms l’arsenico è un elemento cancerogeno per il quale l’Ue ha disposto già dal 2001 precisi limiti. Questi i dati dello studio dell’Iss sul rischio a Latina, Roma e Viterbo.

Nei comuni del Lazio interessati dall’emergenza arsenico nell’acqua, a rischio è pure la catena alimentare. Concentrazioni di arsenico superiori ai livelli consentiti sono state infatti rilevate, ad esempio, nel pane prodotto nell’area del viterbese. Lo dimostrano, secondo quanto si apprende, gli ultimi dati dello studio per valutare l’esposizione all’arsenico nelle aree a rischio condotto dall’Iss con la collaborazione dell’ Ordini dei medici.

Analisi sono in corso su vari tipi di prodotti alimentari, ma dai dati preliminari emerge appunto un livello di arsenico nel pane superiore a quello di aree con livelli di fondo, mentre sono in corso le analisi di ortaggi coltivati in tali aree. La causa è da individuarsi nella maggiore presenza di arsenico nei terreni ma pure nell’uso di acqua erogata dalla rete idrica – e ‘fuori norma’ rispetto alla concentrazione di arsenico – utilizzata per irrigare. Ciò significa che la popolazione di queste aree è soggetta ad una maggiore esposizione all’arsenico non solo per l’utilizzo dell’acqua ma anche attraverso la catena alimentare.

Il Codacons, intanto, chiede ufficialmente la chiusura dei negozi che utilizzano l’acqua contaminata. Ma l’azione dei consumatori nel mirino ha soprattutto comune e Regione. In favore dei negozi, infatti, l’associazione dei consumatori è pronta alla class action contro Comune e Regione Lazio.

Il ministro della Salute Renato Balduzzi, invece, punta il dito contro Renata Polverini: “Non sono arrivate ‘risposte pienamente rassicuranti” in merito all’emergenza arsenico nell’acqua in 50 comuni del Lazio, nonostante ripetute sollecitazioni da parte del ministero della Salute. Lo sottolinea lo stesso ministero in una nota.

Balduzzi, il 4 gennaio, rileva il ministero, ”aveva sollecitato l’ultima volta l’ex-presidente Polverini ad adottare misure urgenti, e negli ultimi sei mesi aveva più volte invitato la Regione ad occuparsi della vicenda con note scritte, che non avevano avuto una risposta pienamente rassicurante sulle iniziative da intraprendere”. Il ministero ricorda che i provvedimenti in deroga, chiesti e ottenuti dalla Regione Lazio dalla Commissione Europea per tramite del Ministero della Salute, prevedevano come parte integrante della richiesta un rigoroso cronoprogramma per il rientro delle acque nei parametri di conformità. L’8 febbraio a Bruxelles, presso la Commissione europea, si era svolta una riunione, presenti ministero della Salute, Istituto Superiore di sanità e Regione Lazio, nella quale la Commissione europea, nel prendere atto delle azioni programmate dalla Regione per il rientro del valore di parametro dell’arsenico, ha proposto alla Regione un piano di assistenza, al quale la Regione aveva aderito. Ma ad oggi, afferma il ministero, ”non risulta che tale piano sia stato formalizzato, nonostante vari solleciti alla Regione a fornire informazioni in merito”.

Venerdì il ministro ha informato il presidente Zingaretti e insieme hanno concordato un incontro la prossima settimana: ”Non possiamo piu’ aspettare e finalmente dalla Regione c’e’ una risposta precisa alle numerose sollecitazioni che avevo gia’ rivolto in passato alla Regione Lazio. Il Presidente Zingaretti – ha detto Balduzzi – ha risposto immediatamente questa mattina annunciando l’incontro di lavoro”.

 

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