“L’ULTIMA CANZONE” al Teatro Tenda di Viterbo

Il comitato provinciale dell’AICS, ringrazia l’avvocato Ottavio Capparella, presidente dell’associazione Pianeta Giustizia, Il dr. Paolo Manganiello, presidente dell’associazione AS ART e il dirigente nazionale AICS Antonio Turco, per aver voluto organizzare, sabato 9 marzo 2013, al teatro Tenda in Viterbo, uno spettacolo di alto livello dai rilevanti contenuti umani e culturali, quale “L’ultima canzone” .

Lo spettacolo teatrale, tenuto in collaborazione con il Comune di Viterbo, è stato interpretato dalla compagnia stabile Assai della casa di reclusione di Rebibbia, diretta da Antonio Turco, educatore nel carcere di Rebibbia, fondatore e regista della Compagnia Stabile Assai, nonché ideatore dello spettacolo insieme a Sandra Vitolo, psicoterapeuta della C.R. di Rebibbia, coautrice di molti testi della Compagnia.

 

La tradizione letteraria della compagnia consente di inserire gli aspetti drammaturgici della “Stabile Assai” nella categoria del “teatro autobiografico” e della “testimonianza civile”.

 

L’ iniziativa già presentata alla stampa a Palazzo dei Priori, dal presidente dell’associazione “Pianeta Giustizia di Viterbo”Ottavio M. Capparella, ha visto il gradimento del pubblico, accorso numeroso; significativa la presenza del direttore dell’istituto penitenziario Mammagialla di Viterbo, Teresa Mascolo, del sostituto procuratore della Repubblica, Paola Conti e del sindaco di Viterbo Giulio Marini a testimonianza dell’importanza che le istituzioni, in particolare le carcerarie viterbesi, danno all’opera di rieducazione, per la quale dovrebbe esserci il massimo impegno, come il nostro sistema giuridico democratico propone.

 

Scritto da Antonio Turco e Sandra Vitolo, da un’idea di regia di Daniela Marazzita, con il coordinamento artistico di Patrizia Spagnoli e la consulenza di Eugenio Marinelli, “ L’ultima canzone” è dedicato ad una figura mitica del tango argentino: Osvaldo Pugliese.

L’opera è ambientata in Argentina nel periodo del discusso presidente Juan Domingo Perón Sosa.

L’interazione tra gli attori della compagnia teatrale e musicale di Osvaldo Pugliese, le musiche di Astor Piazzolla, le immagini della “melanconica” Buenos Aires costituiscono gli elementi chiave di questa rappresentazione, dedicata come tutte le opere della compagnia Assai, al senso della libertà come bene supremo.

 

La figura di Osvaldo Pugliese è quella di uno dei più importanti innovatori della storia del tango. Musicista molto popolare in Argentina subì alcune carcerazioni determinate dal regime peronista, anche per i temi estremamente rivoluzionari che proponeva con la sua musica. Figlio di immigrati italiani, il maestro Pugliese indossava spesso un pigiama sotto il suo abito di scena, pronto a recarsi nelle carceri di Buenos Aires dove veniva accolto, comunque, con rispetto. E il “pigiama”, metaforicamente, costituisce il secondo abito dei detenuti. Lo spettacolo si propone come un omaggio a questo grande personaggio e alla dimensione profondamente innovativa della “cultura tanghera”.

 

 

Hanno interpretato “L’ultima canzone” Cosimo Rega e Giovanni Arcuri, interpreti principali di “Cesare deve morire”, vincitori dell’Orso d’oro di Berlino e David di Donatello, Salvo Buccafusca, autore di saggi, responsabile della scenografia, Lello Gallo, protagonista di molti spettacoli sin dal 1999, vincitore del Premio Troisi e della Medaglia d’oro dal Capo dello Stato), Francesco Carusone, coprotagonista di “Cesare deve morire” , Aniello Falanga, nel ruolo di Astor Piazzolla, Patrizia Spagnoli, teatroterapeuta della casa di reclusione di Spoleto, Silvia Morganti, attrice di teatro, Francesco Rallo, membro della Compagnia da 3 anni, Salvatore Mallia e Massimiliano Anania, membri della Compagnia da 8 anni, vincitori del Premio Troisi, Alexandar Milenkovic, componente della compagnia da 2 anni, Angelo Ait, avvocato che collabora con la Compagnia da 3 anni, Rocco Duca, unico agente di polizia penitenziaria italiana che recita con i detenuti da oltre 10 anni.

 

Parte integrante della compagnia, il cui esordio porta la data del 5 luglio 1982 al Festival di Spoleto, anche Tonino Farinelli, Valter Gobbetti e Renzo Danesi, tutti detenuti semiliberi, che non hanno partecipato per motivi di lavoro allo spettacolo di Viterbo.

Tra i musicisti, Paolo Petrilli, (fisarmanonica), ha collaborato con Gabriella Ferri, Franco Califano e Pupi Avati; Ivan Petrilli, uno dei più giovani suonatori italiani di bandoneon, Roberto Turco, contrabbasso, è stato l’ultimo bassista dei Crash, storico gruppo di Rino Gaetano, e infine Antonio Turco alla chitarra classica.

Sul palco, molto applauditi, anche i ballerini di tango argentino Laura Rubini, Raffaella Pagliuca, Luigi Vai e Marzio Minchielli.

 

Il finale con la recita di brani, poesie sulla libertà con un sottofondo musicale musiche di Astor Piazzolla ha coinvolto, entusiasmato tutti noi presente, ed in particolare ci ha fatto riflettere sull’importanza della libertà. L’ultima canzone è stato un preciso ammonimento rivolto da carcerati a uomini liberi. “Attenzione – ci hanno detto – la libertà è un bene inestimabile, cercate di comprendere la nostra sofferenza per averla persa”.

 

Noi uomini, non reclusi, guardiamo con diffidenza la possibilità che uomini carcerati, anche per lungi anni o addirittura condannati all’ergastolo, possano evolvere il proprio comportamento e redimersi: abbiamo tanti e ingiustificati pregiudizi e consideriamo poco la sofferenza interiore che provano uomini non liberi. Crediamo poco possibile che dalle carceri possa emergere una diversa proposizione di vita, formata sulla consapevolezza che la società umana potrebbe vivere felice e tranquilla se nel rispetto e nella fratellanza fra gli uomini.

Nelle carceri ci sono uomini che hanno commesso reati e per questo sono stati giustamente condannati alla perdita della libertà.


Ma quanti reati restano impuniti?

Quanti personaggi avidi di potere e denaro distruggono l’ambiente, non rispettano la vita di altri uomini, affamano il popolo, eppure difficilmente vengono associati alle patrie galere? Questi si volteggiano, alla maniera dei pavoni, cercando di apparire persone per bene, furbe e intelligenti e vengono pure ammirati rispettati come se lo fossero davvero?

 

Riuscirà mai la giustizia umana, ad infliggere la pena a seconda la gravità dei reati e tenendo però in debito conto la diversità degli uomini?

Questa sì, che si avvicinerebbe ad essere giustizia ! Veramente giusta !

Raimondo Chiricozzi

 

12/03/2013

 

 

 


Associazione Italiana Cultura e Sport Comitato provinciale Viterbo

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