Formica: “Tremonti torna in campo contro l’Europa di Draghi”

da linkiesta

Edoardo Petti

La rivendicazione della sovranità nazionale e della dignità personale da parte dei popoli, «per arginare lo strapotere dei mercati finanziari di cui persino Angela Merkel ha scoperto i gravi limiti». Rino Formica, ex-componente del Psi craxiano, parte da qui per raccontare l’iniziativa politica lanciata da Giulio Tremonti. Che ha toni marcatamente di sinistra: «a fronte di tale impotenza emerge la fragilità progettuale di chi si illude di governare la crisi con i parametri liberisti e monetaristi. Espressione autorevole di una simile filosofia è proprio Draghi» 

 

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Giulio Tremonti
Giulio Tremonti

«Un laboratorio di cultura politica che ha il merito di promuovere una circolazione di idee e di gettare i semi di un’autentica dialettica democratica, nel nostro paese e in Europa. Una ragione di speranza che potrebbe trasformarsi in un’iniziativa capace di aggregare le energie più vive dell’universo socialista. E, perché no, giocare un ruolo di protagonista nella competizione elettorale di primavera». Rino Formica, rappresentante di spicco della storia del Psi già ministro delle finanze negli anni Ottanta, esprime fiducia e curiosità verso il progetto concepito e illustrato da Giulio Tremonti sulle pagine del Corriere della Sera, orientato alla formazione di una «lista collettiva aperta ai giovani, che non sarà una corrente interna ai partiti vecchi, legata a generali di armate morte divenuti marionette di se stessi».

Costruita sulla rivendicazione della sovranità nazionale e della dignità personale da parte dei popoli, «per arginare lo strapotere dei mercati finanziari di cui persino Angela Merkel ha scoperto i gravi limiti», la prospettiva disegnata dal più ostile avversario della globalizzazione liberista e dall’alfiere della filosofia protezionistica e colbertista si condensa per ora nella formulazione di precisi obiettivi: netta separazione tra credito produttivo e attività speculative nel mondo bancario, blocco dei derivati, obbligo di lasciare i bonus a garanzia per un po’ di tempo. Tradizionali cavalli di battaglia del fiscalista di Sondrio, persuaso che «l’instabilità cronica e l’arbitrio dei mercati internazionali non possono essere affrontati e superati né da un governo Monti arrendevole verso le dinamiche finanziarie, né dalla proposta del Pdl di abbattimento del debito attraverso la messa in vendita del patrimonio pubblico, elaborata in forma superficiale e ingannevole». Radicale e irreversibile è la sfiducia manifestata nei confronti dell’intera realtà partitica, «del tutto inadeguata a difendere e rilanciare l’effettiva indipendenza dei popoli, destinati a essere colonizzati se non ritornano padroni in casa propria». Ragionamento che a giudizio di Formica, di cui Tremonti fu consigliere economico all’epoca del pentapartito, non rappresenta affatto un richiamo conservatore alle piccole patrie, ma coglie con lucidità la contraddizione del capitalismo oggi dominante. «Solo affrontando alla radice questo nodo si apriranno gli spazi per realizzare un compromesso socialdemocratico valido nel futuro».

Il Corriere della Sera parla di Lei come ideologo dell’iniziativa promossa da Giulio Tremonti. 
È vero che con Tremonti parliamo. Ma il problema non è attribuirmi funzioni. La vera questione è la mancanza spaventosa, in Italia e nel Vecchio Continente, di una Schengen delle idee, di una libera circolazione di proposte culturali, mentre imperversano avventurieri e mafie di ogni genere. Il punto da cui partire è che l’ex responsabile dell’economia ha compiuto una rottura profonda con la stagnazione ideale che impera nel Popolo della libertà e nel Partito democratico. Nella realtà politica odierna domina la tendenza per cui le proposte vengono elaborate altrove, e ai partiti spetta la loro esecuzione. Si tratta di un esproprio completo della sovranità sostanziale, ma anche formale, di un paese. Un fenomeno esemplificato nella conferenza stampa di giovedì del presidente della Bce Mario Draghi, il quale ha parlato del «passaggio di proprietà della politica economica da parte degli Stati che chiedono l’aiuto finanziario ad altri Stati o istituzioni che glielo accordano». Passaggio che mi ha impressionato, soprattutto perché nessuno ha osato confutarlo. Il manifesto concepito da Tremonti pone in discussione tali presupposti e merita di essere incoraggiato. Un documento in fase di maturazione, aperto agli interventi di chi ha sempre amato il confronto di idee come forza generatrice. A cominciare dai socialisti.

Si tratta di un progetto socialista?
Il socialismo non è stato mai solo un complesso di convinzioni e di idee. Fin dall’Ottocento i suoi rappresentanti abbandonarono le premesse e le suggestioni romantiche per passare all’azione concreta attraverso un partito politico. Giulio Tremonti illumina la radicale antitesi fra capitale finanziario sempre più auto-referenziale e imprenditoria produttiva, prosciugata di risorse e ormai impotente, oltre che schiacciata in un conflitto esasperato, fondamentalista, non più regolabile, con il mondo del lavoro. La sua riflessione coglie la contraddizione del capitalismo oggi, che vede gli Stati nazionali sotto attacco ad opera di gruppi e circuiti finanziari e nell’impossibilità di intervenire a favore dell’economia reale e delle forze lavoratrici. A fronte di tale impotenza emerge la fragilità progettuale di chi si illude di governare la crisi con i parametri liberisti e monetaristi. Espressione autorevole di una simile filosofia è proprio Draghi, fautore di un intervento di immissione di liquidità da parte della Bce per correggere le disfunzioni dei mercati e sostenerli. In tal modo si perpetua un meccanismo perverso alimentato dall’egoismo intrinseco agli scambi azionari, che produce effetti sociali disastrosi.

Giulio Tremonti ha rappresentato però la figura di primo piano dei governi Berlusconi nella veste di architetto della loro politica economica. Perché in tanti anni a capo del Tesoro ha rinunciato a combattere il predominio della finanza a vantaggio dell’economia reale, privilegiando invece una strategia di respiro corto ben lontana dal programma “socialista” rilanciato oggi?
Sono stati anni di una transizione durata troppo a lungo, e nel vuoto del sistema politico italiano ognuno ha operato come meglio ha creduto. Una fase in cui esecutivi di sinistra hanno perseguito strategie economiche di estrema destra, e compagini conservatrici hanno intrapreso politiche moderate. Costretto ad agire entro limiti così stringenti, Tremonti ha potuto solo compiere un gesto di ribellione, quando nel 2004 si rifiutò di assecondare le richieste di Fini e Casini e venne quindi sostituito alla direzione del Tesoro.

Quale dovrebbe essere la stella polare di un progetto socialista del terzo millennio?
La ricerca di un nuovo compromesso tra capitalismo produttivo e mondo del lavoro, in grado di imporsi e prevalere sulle dinamiche finanziarie e governare la logica dello spread anziché esserne sopraffatto. È una direzione radicalmente opposta rispetto a quella seguita fino a oggi dalle istituzioni italiane, europee e internazionali, dal governo guidato da Mario Monti, subalterno al primato assoluto dell’andamento delle borse, e dalla nostra sinistra, a partire dal Pd. Una forza nominalmente contrapposta alla destra, che civetta con tutti ma nutre una paura grande a confrontarsi con le idee e le proposte avanzate dall’ex capo del Tesoro, proprio perché dirette al cuore del mondo progressista e riformista. È tutta qui la ragione dell’ostilità manifestata verso Tremonti dal Partito democratico. Il gruppo dirigente del Nazareno è interessato soltanto all’alternanza al potere e alla sostituzione di nomenclature diverse al governo, non alle idee.

La formazione guidata da Pier Luigi Bersani però sembra orientata a costruire e proporre un’identità culturale socialista.
Il suo interesse è esclusivamente rivolto a conquistare i voti e il consenso dei socialisti, non le idealità socialiste. Nel Pd è prevalsa la rinuncia a una visione, a una prospettiva della sinistra: ne è scaturito l’impoverimento del conflitto politico-culturale, la scomparsa di una dialettica democratica. L’ultimo ventennio è stato fallimentare, poiché ha distrutto la ricerca stessa delle idee e la possibilità di una loro trasformazione. Oggi la distinzione tra Pdl e Pd è limitata al grado di entusiasmo o di rassegnazione con cui viene accettata la prosecuzione dell’esperienza montiana. È del tutto impensabile, “nei partiti del ventennio” in crisi morale perché in preda a una decadenza politica, promuovere un’iniziativa culturale di respiro. L’illusione tardo berlingueriana della riformabilità delle attuali formazioni è destinata a crollare, e sfocerà nella creazione di forze nuove.

Il progetto concepito dall’ex ministro dell’economia incontra da tempo risonanza e accoglienza in personalità, riviste e associazioni di storia e orientamento socialista. È il nucleo attorno a cui aggregare e mobilitare energie anche in vista della campagna elettorale?
Misureremo il livello di curiosità e di interesse che l’iniziativa saprà suscitare e vedremo se tali manifestazioni si esauriranno nella protesta distruttiva e demagogica o se si tradurranno in una proposta creatrice. Nei primi giorni di ottobre organizzeremo una Convention in cui la fase della discussione e della partecipazione prefigurerà la possibilità di una mobilitazione in vista del voto di primavera. Campagna che richiederà coraggio e temerarietà. Si tratta di una scelta che non riguarda i veterani della stagione repubblicana come me, ma deve rivolgersi alle generazioni del futuro e rendere il nostro paese protagonista della costruzione dell’unità politica europea. Sarà nostro dovere parlare alle “persone vive”, che oggi sono nelle piazze, nelle scuole, negli impianti dell’Alcoa e nelle miniere del Sulcis. L’universo socialista è dominato da stanchezza e delusione, mescolate a una rinascita di speranza che non può portare alla rivendicazione di un “risarcimento del danno subito vent’anni fa”, ma deve guardare in avanti. E uscire dal cortile di casa nazionale, interloquendo con il socialismo greco e spagnolo, francese e tedesco, britannico e scandinavo. Perché, se è vero che non vi può essere ordine globale legittimo senza la piena soggettività degli Stati nazionali, dobbiamo pensare a un nuovo compromesso socialdemocratico sul piano sovranazionale, all’altezza della dimensione planetaria dei problemi economico-sociali. Solo così potremo evitare che le realtà più deboli finiscano per soccombere.

Più volte Tremonti è stato indicato dai media come riferimento autorevole di un mondo cattolico ed ecclesiastico sempre più inquieto e desideroso di affermare un autonomo protagonismo. È un disegno compatibile con l’iniziativa socialista rilanciata pochi giorni fa?
Non dobbiamo leggere una questione così delicata con le lenti arcaiche e politicistiche della ricerca del consenso e dell’adesione dei vescovi e delle gerarchie vaticane. Nell’universo cattolico esistono settori e fermenti orientati a promuovere i valori del personalismo cristiano sullo strapotere e i capricci del mercato. Un tema su cui le affinità con l’impostazione e la sensibilità culturale incarnate da Tremonti sono fin troppo evidenti.

 

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