L’utopica Italia della ministra Fornero

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Porre in conflitto la generazione dei vecchi con quella dei giovani è la terza grande battaglia del capitale contro il lavoro e non può e non deve vincerla.

Per Giulio Tremonti il programma della ministra Fornero produrrà 1 milione di disoccupati in più, che, a differenza degli esodati che prima o poi qualcosa prenderanno, ai primi non rimarrà niente: né stipendio e né pensione.
In realtà è ciò che pensiamo e scriviamo da tempo e ci dispiace di condividerlo con chi riteniamo correo del disastro italiano e progenitore di questo governo. Ad onor del vero, ormai moribondo ministro, gli riconosciamo una certa presa di distanza da Berlusconi, anche se ladro è chi ruba, chi tiene il sacco e anche chi guarda se arrivano le guardie.
Ma lasciamo il già ricco ex ministro a godersi la dorata pensione, legittimamente riconosciuta come conseguenza del tragico servizio reso al Paese e parliamo di Elsa Maria Fornero e dell’Italia che vorrebbe, e presentata al meeting di Comunione e Liberazione, sempre meno ecclesiale e sempre più passerella del capitale.
Parafrasando l'”andate e moltiplicatevi”, adeguato al luogo, dice “andate e arricchitevi”, purché la ricchezza non inquini, sia trasparente, rispettosa delle regole, che paghi le tasse e sia attenta alla solidarietà. Un tantino esagerato, visto che siamo un Paese che primeggia nel mondo per evasione fiscale, per esportazione di capitali all’estero, per corruzione, per gli scandalosi stipendi degli onorevoli, degli amministratori pubblici, dei governatori e patria delle pensioni multiple e faraoniche di ex politici e amministratori pubblici, per non parlare delle ricchissime pensioni baby. Utopico quanto e come chi sostiene un mondo privo di ricchi e poveri. Sarebbe sufficiente una sana dose di equità. 
La ricchezza, di per se, non è il male assoluto, ma lo è quella appena descritta; lo è quella delle tangenti, oppure quella usurpata per potere, come i trenta posti letto requisiti dalla governatrice Polverini per sottoporsi a un piccolo intervento (poi si chiedono tagli alla sanità o si tassano le bibite gasate per fare cassa!). E’ un male assoluto la ricchezza espressa da quella che Luciano Gallino chiama “finanza ombra”, causa principale della crisi che sta impoverendo milioni di persone, per aver distratto fiumi di denaro all’economia reale per speculazioni finanziarie che hanno arricchito pochi per affamare molti. Non solo, ma ha lasciato una montagna di debiti, che con la collusione di governi amici, si sono trasformati in “pubblici”, facendoli passare come causa di eccessive spese, soprattutto per il welfare, quindi chiamando a raccolta tutti i cittadini al sacrificio. Non ci sono soldi per creare posti di lavoro, per investire in ricerca e sviluppo, per creare una speranza di futuro ai giovani e non, e per tentare di recuperare “una generazione persa di donne” (parole della ministra Fornero), ma l’Europa trova 4,6 miliardi di euro per sanare le banche, corree del disastro finanziario, con i loro debiti e crediti nascosti in un polverone indecifrabile e non quantificabile. 
Dove sono le “regole” tanto care alla ministra, o le leggi o i paletti per moralizzare o rendere etico tutto ciò. Le uniche decisioni prese, certe e urgenti sono state indirizzate alla demolizione dei diritti dei lavoratori e delle loro pensioni. Come scrive Gallino, nell’articolo Il lavoro tradito “I lavoratori italiani hanno pagato e stanno pagando un prezzo durissimo alla crisi, di cui peraltro non portano alcuna responsabilità, anche se qualcuno ha il coraggio di dirgli che hanno vissuto al disopra dei loro mezzi. I quattro milioni effettivi di disoccupati, il miliardo di ore di cassa integrazione previste per il 2014, i quattro milioni di precari, dovrebbero essere uno scenario sufficiente per stabilire che nessuna impresa piccola o grande dovrebbe chiudere, licenziando, ma va guidata e sorretta affinché trovi modo di far transitare i lavoratori ad altre occupazioni”. Per tentare di moralizzare si suggerisce, si esorta, si indica e si prega…non si decide. Guai!
Quello che succede nel nostro Paese è conseguenza dello strapotere del capitale, che da anni sta sferrando una dura guerra contro il lavoro, vincendo innumerevoli battaglie, anche grazie alla crisi dei partiti di sinistra e all’indebolimento e agli errori dei sindacati. 
Prima, attraverso la globalizzazione, hanno messo in contrapposizione un miliardo e mezzo di lavoratori poveri, privi del tutto o quasi di diritti, con il mezzo miliardo di lavoratori “ricchi”, meglio pagati e tutelati da diritti. Il tentativo, andato a buon fine, è stato quello di ricattare gli ultimi a cedere sia sul salario che sulle tutele, pena la delocalizzazione e la perdita di lavoro.
Quindi, a danno procurato, riescono far passare come “esigenza assoluta e irrinunciabile” la flessibilità, che avrebbe dovuto diminuire la disoccupazione e facilitare l’entrata dei giovani sul mercato del lavoro. Crediamo inutile riportare i dati forniti dall’Istat negli ultimi dieci anni, perché il risultato finale è quello descritto sopra da Gallino. 
Il finanzcapitalismo non cede i suoi soldi, anzi, ne ha sempre più bisogno e se da una parte un miliardo e mezzo di lavoratori poveri chiedono maggior salario e più diritti, dall’altra il mezzo miliardo di lavoratori “ricchi” deve cederne una parte. Come raggiungere l'”equità alla povertà”? Con il sistema più subdolo e infido che potesse essere mai escogitato.
Creare lo scontro fra generazioni: i vecchi, sanguisuga del futuro dei giovani, a causa dell’eccesso di tutele e dei faraonici salari percepiti. Tutto ciò propiziato dalla stoltezza dei sindacati, che non hanno saputo organizzare battaglie adeguate per far crescere le condizioni lavorative nei paesi più poveri, tanto da ridurre il gap con quelli più ricchi e rendere inutile la delocalizzazione. Certamente non sono stati aiutati dai partiti di sinistra (ormai centro-sinistra), che, specie in Italia, sono amichevolmente in conflittualità con il centro-destra a chi occupa di più il centro, così che tutto rimanga immutato a perpetuare il potere e i benefici acquisiti. Una mano, e non di poco conto, l’hanno data e la stanno dando un’élite di giovani emergenti, sicuramente anche capaci e preparati, fortunati, sospinti o fortemente spinti, per non dire puntellati, che raggiunto un certo scalino di “flessibilità assicurata” e di sicurezza economica, e ritengono che gli altri “giovani popolani” debbano adeguarsi ai tempi e fare i “peripheral workers”. Il mondo, purtroppo, è fatto da chi comanda e da chi ubbidisce…e i primi devono essere necessariamente pochi.
L’obiettivo è di gettare sui genitori (chissà come si sarebbero formati e informati quei giovani brillanti se i loro genitori non avessero avuto salari e tutele adeguate per mantenerli allo studio!), le colpe e le distorsioni della politica, nonché i danni procurati dall’ingordigia della finanza.
Quando la ministra Elsa Maria Fornero dice che, purtroppo, le industrie “sono costrette a tenersi operai vecchi e troppo pagati […] e che i giovani sono più produttivi”, dovrebbe anche spiegare a quali fabbriche si riferisce e, soprattutto, dovrebbe anche saper spiegare quale sia il suo concetto di produttività. Esiste anche una produttività legata ad un più elevato valore aggiunto per ora di lavoro che , come scrive Gallino nel suo libro La lotta di classe dopo la lotta di classe, “non deriva affatto dal lavorare più in fretta, e ben poco dal lavorare meglio nel senso di sprecare tempo, non fare pause, compiere solo movimenti prestabiliti e simili. La quantità di valore aggiunto per ora lavorata deriva in massima parte dal tipo di prodotto che un’ impresa sa inventare o sviluppare; dai mezzi di produzione che si utilizzano; dalla strutturazione complessiva del processo di fabbricazione; infine dall’organizzazione del lavoro”, altrimenti la ministra Fornero dovrebbe spiegarci come mai la Volkswagen (visto che in Germania lo stipendio è legato alla produttività) paga meglio sia i vecchi che i giovani rispetto alla Fiat e, soprattutto, come mai la stessa casa tedesca non solo non ha conosciuto un’ora di sciopero, ma si è permessa il lusso di dare un premio di produzione di 7000 euro per dipendente, ha raggiunto record di vendita impensabili e utili crescenti,quando l’ad di Fiat chiedeva tagli e condizioni peggiorative, minacciando di andarsene. 
Forse la nostra ministra si riferiva a fabbriche dove il lavoro fisico è necessario? Ma le stanno facendo chiudere: miniere, acciaierie e fonderie e simili. Poi, forse le sfugge, ma in quelle fabbriche sono veramente pochi i giovani italiani propensi ad accedervi. Forse si riferiva ai lavoratori edili ed agricoli? Per cortesia, ormai sono tutti extracomunitari, mal pagati, senza contratto e quasi schiavizzati. 
Indubbiamente ci sono settori nei quali l’abilità, la capacità, la velocità e la scaltrezza dei giovani eccelle, come il settore informatico e la microingegneria, ma è da capire se l’esperienza e la conoscenza acquisita dei “vecchi” non fa parte del capitale. 
Anziché scatenare l’un contro l’altro, avrebbe dovuto informarsi meglio del tessuto industriale del nostro paese e, forse, avrebbe capito che è composto da micro, piccole e medie industrie…più macro-artigiani che industriali, dove le capacità acquisite e l’esperienza sono fondamentali. Tanto che il Nord-Est ha sofferto e sta ancora soffrendo il ricambio generazionale. Anziché andare alla passerella tanto ambita da chi governa, avrebbe dovuto dare una veloce lettura al libro di Stefano Micelli, Futuro Artigiano, dove tra le tante cose scrive: “Parliamo sempre di trasferimento tecnologico ma bisognerebbe parlare di osmosi. Osmosi tecnica e tecnologica. Cioè mescolare le abilità artigianali con le competenze industriali; le capacità dei tecnologi e dei manager con quelle straordinarie dei tecnici e degli artigiani”.
Per fare questo è necessario investire nei giovani, perché sappiano valorizzare il lavoro dei “vecchi”; bisogna fare formazione e informazione, quindi investendo in una scuola che prepari all’unità e non alla separazione, oltre che professionalmente; che prepari a saper cogliere il meglio e valorizzarlo; bisogna investire fortemente e tenacemente alla crescita e alla valorizzazione personale, che non deve nascere dal togliere agli altri, ma dal beneficio di costruire con gli altri!
Questa dovrebbe essere la sua Italia e lo scopo del suo governo e non quello descritto da Massimo Gramellini, Tasse senza gas, a proposito dell’assurda proposta del suo collega del ministero della Sanità di tassare le bibite gasate per fare cassa, che rappresenta degnamente ciò che in realtà siete: “qualsiasi governo, tecnico o politico, di destra o di sinistra, preferirà sempre tassare il vizio che detassare la virtù […] a loro interessa rastrellare soldi per continuare a mantenere il carrozzone di famigli che è andato stratificandosi nei decenni, fino a comporre la più elefantiaca, corrotta e intangibile burocrazia della storia. Sarebbe onesto, ma soprattutto adulto, quell’amministratore pubblico che avesse il coraggio di ammetterlo, anziché escogitare sempre nuovi espedienti, addirittura etici, per placare la sua sete inestinguibile di liquidità”…e stava parlando solo di pochi e miserabili e “possibili” 240 milioni di euro!
Un progetto serio di una nuova Italia dovrebbe prevedere interventi “decisi e urgenti” che riguardino ogni ambito. Pe una volta, solo una volta, parta dall’alto e tocchi i privilegi, poi ci chieda i sacrifici.
Faccia Lei, Elsa Maria Fornero!

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