L’addio al cardinale Martini E’ stato il principe del dialogo

da quotidiano.net

Era da tempo malato. Oltre vent’anni sulla cattedra di Milano
– di Pierfrancesco De Robertis

 

FOTO La vita

Il magistero: ha aperto ai non credenti. In molti l’avrebbero voluto Papa alla morte di Wojtyla

di Pierfrancesco De Robertis

 

Il cardinale Carlo Maria Martini (Ansa)

Il cardinale Carlo Maria Martini (Ansa)

Milano, 1 settembre 2012 – È STATO il papa sognato da molti durante l’infinito autunno wojtyliano, il principe di una Chiesa del dialogo amato e rispettato anche fuori dai confini della Chiesa stessa, l’unico che dall’alto della Cattedra di Ambrogio da metà anni Ottanta e per i venti anni successivi sia riuscito per prestigio e forza a tener testa ai romani campioni della fede e della storia, Karol Wojtyla e Joseph Ratzinger. Amato e rispettato dal «mondo», non solo italiano, anche più del papa polacco e dal panzerkardinal tedesco poi Benedetto XVI.

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UN PAPA sognato e impossibile, Carlo Maria Martini, e non tanto per la tonaca da gesuita indossata fin da giovane (mai un successore di Pietro è venuto dalla Compagnia di Gesù) ma perché la Chiesa wojtyliana che a inizio anni Novanta aveva da poco abbattuto il muro di Berlino, sconfitto il comunismo e asfaltato la teologia della liberazione, aveva anche imboccato decisa la strada della difesa delle proprie idee e di un arrocco frontale con la società moderna e con le sue domande, quelle che Martini aveva invece sempre preteso per lo meno di «ascoltare». Una strada che aveva messo fuori gioco l’uomo che bene o male veniva considerato il campione del fronte «progressista» della Chiesa, Carlo Maria Martini.

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TANT’È che quando nell’aprile 2005 Giovanni Paolo II se ne è andato, Martini non era più nella partita. Un po’ per l’età, un po’ per la malattia che aveva già manifestato evidenti i suoi nefasti segnali, nel conclave che ha poi eletto Ratzinger il cardinale emerito di Milano non è mai stato veramente in lizza. Di Carlo Maria Martini a una parte dei credenti (non a tutti, basti pensare ai ciellini) e a una buona parte del mondo non credente piacevano la disponibilità a «discutere», a non parlare per dogmi, a cercare sempre una strada comune. Chissà, forse in più di uno avrà pensato o sperato che una volta papa Martini avrebbe potuto prendere in considerazione qualcuna delle questioni aperte su cui Wojtyla aveva sempre chiuso le porte, come la comunione ai divorziati, il celibato dei preti, la vita dei gay all’interno della Chiesa. L’eutanasia, come la sua ultima scelta di non volere sondini gastrici o accanimenti terapeutici ha poi dimostrato. Chissà. Più di una parola di novità su questi argomenti Martini l’ha spesso pronunciata (anche quando parlò di un terzo concilio), avendo però cura di non mettersi mai in urto con l’insegnamento ufficiale del magistero e del papa in particolare. Da vero gesuita.

PAROLE di novità che hanno fatto comprendere a tutti, credenti e non, il grande spessore di uno dei più grandi intellettuali italiani rinoscosciuto a livello mondiale negli ultimi venti-trenta anni. Forse il più grande. Un intellettuale diverso come lo è sempre un uomo di Chiesa, che deve cercare la verità all’interno degli orizzonti di un magistero e di una Rivelazione. Un biblista atipico, molto studioso ma anche molto pastore, al governo della diocesi più grande del mondo. 

UN INTELLETTUALE perfettamente incastonato nella sua città, Milano, una metropoli che prima della nomina, nel 1979, Carlo Maria Martini conosceva tutto sommato poco. Martini sarebbe stato molto meno Martini di quanto lo è stato se non fosse stato il vescovo di Milano. E in fondo Martini e Milano hanno finito per assomigliarsi, migliorandosi: moderni, europei, poco provinciali, per niente clericali. Una Milano che adesso è tutta unita ai piedi del «suo» pastore.

di Pierfrancesco De Robertis
 

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