1947, la Regione Tuscia: un’ “utopia reale” come l’Europa di Spinelli

 

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Venerdì 27 Luglio 2012 15:51

 

iterbo Riceviamo questo interessante studio di Fabio Marco Fabbri e volentieri lo pubblichiamo

Tecchi scrive che: … gli abitanti di Acquapendente e Viterbo una mattina senza trasmigrare a sud del Tevere si trovarono nel Lazio….

La Tuscia antica da “Nova et accurata Tusciae Antiquae Acutore Ab. Ortelio . . . 1696”

Riflettere analiticamente sulle forme istituzionali in generale ed italiane in particolare ha riguardato, fino in tempi recenti, affrontare tematiche di interesse storico-sociologico, appartenenti a quella branca della Storia, che in modo distintivo, studia gli strumenti per una gestione equilibrata, armoniosa e spesso rigida della società. 

Con il Corpus iuris civilis, la Lex Romana Visigotorum e Burgundiorun prima, passando per il Code Napoléon e la Costituzione Repubblicana poi, la collettività, ad esse subordinata, ha avuto la possibilità di avere delle pietre miliari atte a garantire comuni diritti e comuni doveri. Oggi, purtroppo, riflettere “analiticamente sulle forme istituzionali”, mostra aspetti che con l’equilibrio sociale e con una gestione equilibrata ed armoniosa della Società, poco hanno da condividere.

Il sistema ciclico della Historia che spesso, ma ritengo non sempre, contraddicendo umilmente Cicerone, viene definita Magistra vitae, mi riconduce ad un mio datato studio (tesi di specializzazione post lauream), nel quale, durante la ricerca, ebbi l’opportunità di reperire un giornale “TUSCIA”, numero unico a cura del Comitato Viterbese “PRO REGIONE TUSCIA” pubblicato a Viterbo nel maggio del 1947, che rappresenta uno di quei casi di ciclicità storica sopra ricordato.

Nel giornale menzionato sorprende la visione storico-politica degli intellettuali e dei politici del viterbese, vissuti a cavallo del primo cinquantennio del XX secolo, in particolare l’intervento del bagnorese germanista Bonaventura Tecchi, che con il suo contributo fotografa, in modo limpido, la realtà sociologica dell’area della Tuscia. 

Nel citato giornale, nell’articolo presente in prima pagina, dal titolo “Aspetti della nostra Regione”, fa una analisi delle similitudini e delle diversità culturali e sociali che sono presenti nell’area definita Tuscia, che va dalla zona dell’orvietano a quella civitavecchiese, passando per estremi lembi come quello aquesiano affacciato sui …costoni e dirupi pietrosi in faccia a Radicofani, desolati e insieme gentili…. Il concetto di caratteri distintivi della Tuscia si identificano nel non essere: non essere né Toscana né Umbria ma nemmeno Lazio come rileva Bonaventura infatti, condividendo a pieno quanto riporta riferito ad affermazione di storici: il nome Lazio appartenne solo ad una determinata regione dall’altra parte del Tevere, fu dimenticato dopo l’Impero, per riapparire in tempi relativamente recenti.

Le sensibilità e le caratteristiche regionali non si riscontravano esclusivamente nei territori di confine e nelle isole maggiori, ma anche in quei territori che grazie al possesso di una grande ricchezza culturale e storica  avevano visto popoli tra loro aggregati e uniti sotto un unico diritto o comuni consuetudini.

Queste popolazioni avevano pedissequamente  calpestato le tracce di una storia comune, che però  la costituenda costituzione, non ne riconosceva  una propria identità territoriale.

Questo è il caso dell’”idea”  della regione Tuscia, emersa prepotentemente proprio nella fase della Costituente.

Dal giornale in esame emerge in tutta la sua veemenza e veridicità una realtà che in alcuni casi precorre temi di estrema attualità.

Riporta ancora Tecchi nel suo articolo che i caratteri distintivi della “Regione Tuscia” si distinguono sia come clima morale, sia sotto l’aspetto morfologico del territorio; prosegue distinguendo il territorio della Tuscia dai circostanti, avendo esso goduto di un’autonomia amministrativa di circa otto secoli; identifica il Lazio, in senso stretto, con una determinata regione ubicata  sul lato est del Tevere, dimenticata durante l’impero, per poi riapparire solo recentemente.

L’aspetto più importante dell’articolo è quando affronta il rapporto tra la grandezza di Roma che  trionfò e sopraffece i territori di parte dell’Europa e dell’Africa e il fascino  misterioso degli Etruschi. E’ proprio da questo connubio che, sostiene Tecchi, scaturisce l’indole del popolo della Tuscia e inoltre anche il misticismo, la fede, che tanto spazio occupa nella vita della Tuscia, ha caratteri diversi dalla globalità degli abitanti della costituenda Regione Lazio e quindi li accomuna maggiormente con le popolazioni di parte dell’Umbria e parte della Toscana. 

Tecchi raggiunge il massimo della lungimiranza politica quando auspica per la città di Roma uno speciale ordinamento amministrativo, infatti, quel territorio (la Tuscia) compreso fra il mar Tirreno, il Tevere e la Toscana, nella storia della nostra penisola, ha formato sempre un organismo amministrativo a sé stante, con la sua capitale Viterbo, chiamato Etruria fino al VII secolo, Tuscia dall’VIII al 1870. 

Roma ebbe sempre un ordinamento speciale, non fece mai parte durante i mille anni di sovranità pontificia né della Tuscia né della Marittima che le si estendeva a Sud. Neppure Napoleone, con il suo spirito accentratore, pensò di togliere alla città eterna l’autonomia amministrativa, ma la ritenne e la dichiarò la seconda città dell’impero.

Fu il Governo italiano che cancellò, non solo il nome, ma il passato di dieci secoli, creando una regione, il Lazio, che dal tempo di Enea aveva sempre designato un territorio  che si estendeva sulla sinistra del Tevere a sud di Roma.

Su questo filone critico alla scelta regionalista si inserisce anche una frase scherzosa ma significativa di un Principe della dinastia Caetani:  … Io non credo alla geografia…, che viene accostata a una constatazione sull’ignoranza dei  governanti del 1870, che alla mancanza della cultura geografica, aggiungono anche quella della cultura storica.

La visione parossistica circa il Lazio, raggiunge il suo apice, quando Tecchi scrive che: … gli abitanti di Acquapendente e Viterbo una mattina senza trasmigrare a sud del Tevere si trovarono nel Lazio….

L’articolo di Tecchi prosegue e si conclude delineando i veri confini della Tuscia che vedono a nord il gruppo dell’Amiata, i Monti Sabatini a Sud, il Mare Tirreno ad Ovest, il Fiume Tevere ad Est.

I suoi tre centri principali sono Viterbo, Civitavecchia e Orvieto, costituenti dall’epoca carolingia all’unificazione dell’Italia, quindi per un millennio salvo trascurabili modificazioni, una circoscrizione a sé stante, la Tuscia.

E’ indubbio che questi territori siano caratterizzati da una fisiologica unità geografica ed  economica tali da differenziarla dalle altre zone territoriali confinanti.

Al di là delle tesi campanilistiche, anche se parzialmente giustificabili, del Tecchi, la regionalizzazione dell’Italia non ha rispettato, tutti, i principi che erano alla base della sua ideazione.

Viterbo espresse dal convegno del 4 dicembre 1946, al quale parteciparono molti sindaci della provincia, i rappresentanti Provinciali, ed anche i sindaci di Civitavecchia e Orvieto, una deputazione, che per nome del proprio presidente, Felice Mignone, inoltrò all’Assemblea costituente una richiesta di ricostituzione dell’antica regione Tuscia, nata nel 768 (con la donazione di Sutri) e soppressa nel 1870,  che avrebbe dovuto  avere  per proprio capoluogo Viterbo.

La richiesta della ricostituzione della Regione Tuscia,  oltre che essere stata fatta pervenire all’Assemblea Costituente, fu anche appoggiata da tutte le organizzazioni partitiche della provincia, dalla Camera di Commercio Industria e Agricoltura  di Viterbo  e fu fatta pervenire anche all’onorevole Giulio Andreotti, che così rispondeva all’Avvocato Carlo De Luca Presidente della Camera di Commercio Industria e Agricoltura  di Viterbo: … ho ricevuto la lettera del 25 febbraio scorso, e desidero assicurarLa che al momento opportuno non mancherò di tener presente il desiderio manifestato per la ricostituzione della regione Tuscia ….

Si evince dalla risposta dell’onorevole Andreotti, che l’Assemblea  costituente difficilmente avrebbe potuto recepire la richiesta, infatti, la stringatezza della lettera e la sfumatura diplomatica del periodo, fanno intuire poca convinzione nel  portare avanti una così  importante richiesta.

Questa mia breve considerazione sulla identità territoriale è particolarmente stimolata dagli attuali programmi di riassetto istituzionale del nostro Stato e ritengo che se l’istanza prodotta tra il 1946-47 dal comitato PRO REGIONE TUSCIA, avesse avuto successo è verosimile che il triangolo Civitavecchia, Viterbo, Orvieto, avrebbe avuto una solidità economica, sociale e territoriale difficilmente espugnabile dalle dottrine della Spending review.

Fabio Marco Fabbri

 

 

  

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