Giuseppe Mannino e il colore arancione

Mercoledì 11 Aprile 2012 23:00

Di ELISA JOSEFINA FATTORI (L’UNICO). Giuseppe Mannino – classe1939 e di origini messinesi – è stato Consigliere Comunale di Roma dal 1997 al 2006 e Presidente del Consiglio Comunale dal 2001 al 2006. Avvocato, giornalista pubblicista e poeta vede tra le sue pubblicazioni più famose “Insalata d’arancia” (2000), “Noi Siciliani” (2001) e “Pane e Olio” (2002). Come pittore e scultore ha partecipato a numerose mostre personali e collettive in Italia, Spagna, Germania, Cile, Cina e USA. Tra le creazioni più importanti ricordiamo: la bandiera della paceissata sulla cima dell’Everest, il progetto e la realizzazione del “Monumento alle vittime delle Foibe” collocato nel 2008 a Roma nell’omonimo piazzale, la realizzazione dellostendardo per il “Palio di San Bartolomeo” di Ronciglione (2008) e la scultura “Il Salvatore” collocata presso il Chiostro della Biblioteca di Agapito al Celio, a Roma.

 

 

Don Chisciotte è per lei un simbolico “Alter Ego”?

 

“Non so se sia un Alter Ego o un punto di riferimento immaginario, del mio immaginario. Don Chisciotte risponde a determinate mie domande, o esigenze: ad un’esigenza etica. Don Chisciotte è un personaggio con un senso etico fortissimo ed “incorporato”. Forse in misura minore rispetto aSancho Panza, ma Don Chisciotte è stato costruito in maniera eclatante sul concetto dell’etica. Il suo impegno e le sue battaglie erano a favore degli oppressi, dei

diseredati e dei condannati, cioè di coloro i quali erano indifesi a livello “collettivo”. Don Chisciotte – nelle sue battaglie – non si chiedeva né a favore di chi le facesse né tanto meno s’aspettava una ricompensa. Non si chiedeva neppure se la vittoria fosse possibile o meno. Questo è il Senso Etico, allo stato puro. In questo senso non mi dispiace considerarlo un Alter Ego. Viviamo una fase storica nella quale non c’è senso etico e allora mi sono avvicinato a questo personaggio, che per altro si presta molto bene ai miei colori e a tutta la mia stravaganza. E poi c’è una grande ammirazione per un personaggio che ha saputo costruirsi un’identità con grandissima precisione: ci impiegò giorni a cambiarsi il nome, a trovare una dama e a darle un nome, Dulcinea. La quale in realtà era una donna brutta che faceva la sguattera, e nemmeno era consapevole dell’interessamento di Don Chisciotte.”

 

 

Perché ha scelto l’arancione come suo “colore guida”?

 

“L’arancione è un colore particolare. Innanzitutto è un colore misto: formato dalgiallo e dal rosso. Il colore arancione è il colore di chi ha fantasia. Di chi è generoso e anche di chi è coraggioso. E di chi ha senso etico. E’il colore delle persone sincere. Delle persone aperte e che hanno un modo di ragionare semplice. Ci sono tante motivazioni. Inoltre è un colore naturale, il colore dellearance: io sono di origini siciliane…quindi a maggior ragione! Mi sono reso conto tardi che usavo con facilità l’arancione, ma effettivamente è il colore prevalente nel mio lavoro artistico: in tutte le mie opere è presente l’arancione.”

 

 

Come può motivare l’uso di colori brillanti per la descrizione di scenari drammatici come quello di Ground Zero?

 

“E aggiungerei: per la descrizione delle Foibe. Non bisogna mai dimenticare le Foibe. Anche se si tocca un tema scomodo, nel quale i negazionisti forse sono in maggioranza rispetto a coloro che esigono che la memoria riviva, che si superi l’oblio. E’un sentimento dell’ottimismo, della speranza. Non avrebbe alcun senso, anzi sarebbe troppo comodo, rappresentare Ground Zero con colori…che non saprei neppure quali potrebbero essere! Sulla definizione dei colori poi ci sono diverse interpretazioni: noi consideriamo il nero il colore del lutto, e invece per molti popoli il colore del lutto è il bianco. Per quanto riguarda le Foibe credo che il mio sia un modo d’avvicinarsi, di ritrovare la memoria dopo sessant’anni. Probabilmente la mia è un’idea di resurrezione: voler vivere nella memoria. La memoria che vive contrasta l’oblio, il quale normalmente copre la memoria. L’oblio non ha estetica e memoria; e probabilmente la memoria delle Foibe è stata ritenuta, per anni, una pessima memoria! Per Ground Zero è stato il contrario: la ribellione mondiale è stata immediata. In quel periodo ero Presidente del Consiglio Comunale di Roma, e ricordo che in un’ora avevamo convocato un Consiglio Straordinario nel quale proferii un discorso di pace. Consigliai di non perdere l’equilibrio e la tranquillità per non reagire in maniera tale che si giungesse alla guerra, perché ancora non si conoscevano gli effetti degli attacchi. Molti ricordano solo gli attacchi alle Torri Gemelle, ma ci furono attentati sia ad obiettivi civili che militari. In quell’occasione scrissi i testi della “Mass For Peace” – la “Cantata della Pace” – uno dei miei testi più fortunati. La “Cantata della Pace”, eseguita nella Basilica di Santa Maria degli Angeli a Roma, ha avuto l’onore di chiudere le onoranze delGiubileo del 2000. I testi erano miei, di Salvatore Quasimodo e di Papa Giovanni Paolo II, il quale apprezzò il risultato finale. La ballata – tradotta in moltissime lingue – è stata eseguita in numerose città del mondo.”

 

 

Parliamo della linea frastagliata delle sue sculture: è una scelta stilistica o anche narrativa?

 

“Credo che la narrazione sia compresa in tutta la mia Arte. L’Arte è cultura delpensiero e dell’essenza spirituale della natura. L’Arte è messaggio etico: il messaggio in genere si trova in un racconto, in una narrazione e in un “qualcosa” che deve essere espresso con le parole. L’Arte è l’immaginazione di ciò che non è mai stato visto. E qui “scatta” il “pregio/difetto” o il “difetto/pregio” di un artista, o perlomeno mio, dell’ignoranza della fantasia: usare l’ignoranza per scatenare la fantasia. E poi la totale casualità: l’idea inconscia d’una creazione nasce da una serie di colori e suoni vissuti. In questo caso la cultura serve a poco: il colto è arrogante. Non sempre riesce a cogliere gli aspetti sottointesi. Ha la sua interpretazione da far valere. Nella scultura quando sono costretto a trattare un argomento che ha bisogno d’essere compreso – come ad esempio per il “Monumento alle vittime delle Foibe” – il messaggio deve essere chiaro. Però nelle sculture che narrano il Don Chisciotte c’è un racconto che proviene dalla mia ignoranza, più che dalla mia cultura. Immagino un personaggio che colloco in una Mancia “nostrana” che è la Sicilia. Conosco entrambe le realtà perché la mia prima mostra su Don Chisciotte era stata organizzata a Malaga dove, rispetto allaSicilia, ho potuto constatare non solo la stessa latitudine ma un ambiente quasi identico.”(L’UNICO)

 
 
 
 

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