Il ventennio del Senatùr

Dall’illuminazione autonomista allo scandalo Belsito: gloria e rovina di Umberto Bossi.

di Filippo Conti

Per i suoi detrattori è solo un gran cialtrone. Così lo ha definito anche Leonardo Facco, ex giornalista della Padania ed ex bossiano di ferro, nella sua biografia sul Senatúr (Umberto Magno, la vera storia dell’imperatore della Padania).

DA CAPOPOPOLO A FURBASTRO. Per gli estimatori è stato, invece, un capopopolo, un leader che ha saputo dare voce alla voglia di libertà del Nord, stufo di regalare gran parte della sua ricchezza a Roma. Per altri ancora è stato un furbastro, che ha cavalcato le istanze nordiste e razziste solo per costruirsi un’eccellente carriera politica e arrivare al potere, come nemmeno il più astuto dei democristiani avrebbe saputo fare. E il fatto che la Lega Nord oggi sia il partito più longevo del panorama politico italiano dimostra che l’obiettivo è stato centrato.
LA FINE CON L’ICTUS DEL 2004. Ora però la storia politica di Umberto Bossi è definitivamente finita. Non ci era riuscito l’ictus del marzo 2004 a metterlo fuori gioco. Anche se tutti i guai che in queste ore stanno travolgendo la Lega sono cominciati proprio quel giorno, quando il Senatúr non è stato più in grado di controllare direttamente il partito. Ed è stato preso in ostaggio da quel Cerchio magico (capeggiato dalla moglie Manuela Marrone e da Rosi Mauro) che lo ha portato alla rovina, fino alle dimissioni dalla segreteria il 5 aprile (guarda la photogallery del ventennio del Senatúr).

La giovinezza: i titoli di studio inventati e l’illuminazione autonomista

Analizzando la storia della sua vita politica e privata, Umberto Bossi è stato tutte e tre le cose: cialtrone, grande leader e astuto politico.
Un po’ cialtrone di sicuro lo è. Basti vedere i titoli di studio fantasma di cui si è impossessato: perito tecnico con un diploma ottenuto per corrispondenza alla scuola Radio Elettra, mentre sul sito della Lega gli viene attribuita la maturità scientifica.
IL PRIMO MATRIMONIO. Studente di Medicina a Pavia, venne lasciato dalla prima moglie Gigliola Guidali (da cui ha avuto il primo figlio, Riccardo) quando lei scoprì che tutte le mattine usciva di casa con la valigetta da dottore ma non andava in ospedale come diceva.
Insomma, l’Umberto da giovane, come ha più volte raccontato lui stesso, saltava da un lavoro all’altro, militava in qualche gruppo di sinistra e suonava la chitarra. E se all’università non gli fosse capitato tra le mani un volantino degli autonomisti valdostani, chissà che fine avrebbe fatto.
L’ANIMALE POLITICO. Poi, però, nella vita di Bossi irruppe l’intuizione autonomista e federalista. E fu allora, nei primi Anni 80, che iniziò a formarsi l’animale politico che dal nulla creò un movimento capace di ottenere consensi inimmaginabili sopra il Po, di eleggere centinaia di amministratori locali, di governare città e una miriade di piccoli Comuni, di arrivare prima in Parlamento e poi al governo nazionale.
LE SCORRIBANDE CON MARONI. Sono stati gli anni della formazione quando, insieme con Roberto Maroni, girava per la Lombardia con un secchio di vernice per scrivere «Padania libera» sui muri e sui cavalcavia delle strade provinciali. Una notte il secchio si rovesciò in auto e la reazione della mamma di Bobo, proprietaria del mezzo, si narra, fu terribile.

Gli slogan «Roma ladrona», la presa di Milano e l’esperienza di governo

Un animale politico, Bossi, in grado di capire prima degli altri dove tirava il vento. Nel 1983 fondò la Lega Lombarda, con cui nel 1987 venne eletto in Senato (da qui il soprannome Senatùr), che nel 1989 diventò Lega Nord.
INTUIZIONI DI SUCCESSO. Le sue intuizioni politiche in quegli anni furono galline dalle uova d’oro, come quella dei manifesti contro «Roma ladrona». Si inventò poi il raduno sul pratone di Pontida, dove ogni anno accorrono ancora migliaia di militanti da tutto il Nord. Creò addirittura una regione che non esiste, la Padania.
L’ONDA DI TANGENTOPOLI. Capì che Tangentopoli stava spazzando via la Prima repubblica e la cavalcò. Nonostante il suo ex tesoriere Alessandro Patelli venne indagato – e condannato – per una maxi-tangente Enimont. Scelta che comunque lo portò prima a conquistare Milano, con il sindaco Marco Formentini, e poi al governo con Silvio Berlusconi nel 1994.
LA ROTTURA CON IL PENSATORE MIGLIO. Erano gli anni del proficuo ma difficile rapporto con Gianfranco Miglio, che si interruppe proprio quando il professore non riuscì a entrare nel Berlusconi I. «Spero di non vederlo mai più», disse il vecchio autonomista. «Miglio? È solo una scoreggia nello spazio», lo definì l’Umberto, con il suo lessico da osteria.

Le rotture: gli attacchi contro l’ex alleato «Berluskaiser» e la Liga

Già, perché quella di Bossi è stata una rivoluzione anche nel linguaggio e nella comunicazione politica (guarda la videogallery). Il «celodurismo», i «padani armati di manico», le dichiarazioni pubbliche in canottiera, il paventare «1.000 bergamaschi pronti a imbracciare il fucile» sono tutti elementi fondamentali nella costruzione del personaggio di capopopolo delle genti del Nord e del partito di lotta e di governo. Poi, per aver detto «col Tricolore mi ci pulisco il culo», è stato anche condannato in via definitiva per vilipendio alla bandiera, ma poco importava.
L’ADORAZIONE DEL DIO PO. È però nella seconda metà degli Anni 90, forte del suo 10% alle politiche e dallo sganciamento dai due poli, che Bossi diede il meglio di sé.
Ecco allora che arrivarono il Dio Po, il rito dell’ampolla sul Monviso, la dichiarazione di indipendenza della Padania, le accuse di mafia all’ormai ex alleato Berlusconi (che sulla Padania veniva definito «Berluskaiser»), le guardie padane, le ronde anti-immigrati: una sorta di paganesimo in salsa pedemontana che, però, gli permise di restare sulle prime pagine dei giornali nonostante non fosse più al governo.
LE EPURAZIONI E LO STRAPPO. Nello stesso periodo Bossi fece fuori tutti coloro che potevano fargli ombra, a cominciare dal leader della Liga Veneta, Fabrizio Comencini. Le espulsioni dal partito furono decine. Il Senatúr volle accanto a sé solo gente fidata, i cosiddetti colonnelli, primi tra tutti Maroni e Calderoli. Lui teneva tutti sotto scacco, mettendoli, se necessario, gli uni contro gli altri secondo la strategia del divide et impera.

Il ritorno con il Cavaliere e l’ictus del 2004

La forza d’urto che pareva inarrestabile, però, all’improvviso perse energia. Quando Bossi si rese contro di aver esaurito gli argomenti e che la secessione non lo avrebbe portato da nessuna parte, ecco il ritorno all’alleanza con Berlusconi, con tanto di patto sottoscritto davanti al notaio.
IL GRAN RITORNO. Una scelta che gli consentì di rivincere le elezioni nel 2001, diventando ministro delle Riforme. E il federalismo magicamente si trasformò in devolution, riforma approvata ma poi affossata nel referendum del 2005.
Bossi, però, nel frattempo, era l’11 marzo 2004, fu colpito da un malore che lo costrinse in un letto d’ospedale per diversi mesi.
IL GOSSIP SUL MALORE. E anche su questo evento si è molto favoleggiato, con le voci di un ictus causato dai un abuso di farmaci dopo una notte trascorsa con una starlette televisiva. Con il fido autista Aurelio che non sapeva dove portarlo perché temeva la reazione della signora Manuela. La quale, non soddisfatta delle cure offerte dall’ospedale varesino dove era ricoverato, si presentò una notte con alcune guardie padane per trasferirlo in una clinica svizzera.
L’INDEBOLIMENTO DEL LEONE. Da quel giorno, però, il leone padano non è stato più lo stesso. Non ha più arringato le folle con comizi lunghissimi e vibranti in cui ripercorreva a modo suo la storia d’Italia. Non ha più macinato centinaia di chilometri ogni giorno per partecipare alle innumerevoli feste della Lega in tutto il Nord, rimanendo fino a notte fonda a parlare con i militanti fumando il toscano e bevendo Coca cola. Non ha più avuto quelle intuizioni geniali (e a volte rozze e volgari) cui deve la sua incredibile storia politica.

La battaglia tra Cerchio magico e Barbari sognanti

Dal 2004 la Lega è stato un partito governato dalla stretta cerchia familiare, di cui fanno parte anche Marco Reguzzoni e l’ormai ex tesoriere del partito, Francesco Belsito che raccolse nel 2010 l’eredità di Maurizio Balocchi, «l’intoccabile», morto dopo una lunga malattia.
L’ESORDIO DEL TROTA. Poi ci si è messo anche il figlio Renzo, da Bossi stesso definito il Trota (quando gli chiesero se fosse lui il delfino), con le sue gaffe, gli atteggiamenti da “ganassa” e l’elezione – nel 2010 – al Consiglio regionale lombardo contestata da molti.
LA FAIDA INTESTINA. Ed è in questi anni che è iniziata un feroce lotta interna tra Cerchio magico e maroniani, cioè tutti coloro che contestano la gestione familistica del partito e che vorrebbero Maroni leader.
LA NUOVA GENERAZIONE. Quasi per miracolo, e nonostante un Bossi debole e affaticato, la Lega ha continuato a crescere, con buoni risultati. Grazie, soprattutto, a una nuova generazione di amministratori locali come Luca Zaia – governatore del Veneto – e Flavio Tosi, super-sindaco di Verona. 
Ed è a loro, oltre che a Bobo Maroni, che la Lega orfana di Bossi dovrà guardare per ricostruirsi e non buttare via un’avventura politica che, nel bene e nel male, ha segnato gli ultimi 20 anni di storia italiana.

Giovedì, 05 Aprile 2012

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