Alberto Benzoni – Art.18, l’harakiri annunciato dell’opposizione

mercoledì 4 aprile 2012

Alberto Benzoni

 

Supponiamo per un attimo che i protagonisti dell’attuale contesa- Pd, Pdl, governo, sindacati- siano, come Bruto, “uomini d’onore” e cioè che credano veramente a quello che vanno dicendo in questi giorni a proposito dell’art.18.
E cioè: che l’art.18 è l’unico punto degno di essere dibattuto nel dispositivo della riforma del mercato del lavoro e che, in particolare, materia non negoziabile, per diverse e opposte ragioni, sia la scelta sul reintegro dei licenziati per ragioni economiche, vista, da una parte come il via libera a licenziamenti di massa e dall’altra come spauracchio che blocca crescita e investimenti. E supponiamo, ancora, che la loro condotta politica sia conforme a questo aut-aut drammatico e senza punti di mediazione. Se così fosse, dovremmo essere spettatori impotenti, nelle prossime settimane e nei prossimi mesi di uno scontro assai duro in parlamento e nel paese.
Così il progetto dovrebbe passare per una sorta di Vietnam parlamentare, con annessi ostruzionismi e appelli alla Costituzione o alla libertà d’impresa. A fronte di questo il ritorno dei vecchi riti di piazza: scioperi generali con annesse manifestazioni oceaniche; contestazioni più o meno mirate con slogan più o meno personalizzati e truculenti; opposti appelli, beninteso in nome dei superiori interessi del paese, al Popolo delle Libertà; e, in mezzo, tanto per non farci mancare nulla, il consueto tam tam dei salotti e delle piazze più o meno pulite, all’insegna del catastrofismo da salotto. Da una parte i vecchi e nuovi fan di Marchionne e dall’altra quelli della Fiom. 
Insomma un più o meno riuscito “remake”. Con la partecipazione emotiva dei tifosi di ogni ordine e grado, ma anche con il disgusto crescente di molti altri.
Ma non importa poi tanto discutere di questo quanto interessa invece capire quale sarà la conclusione logica della rappresentazione cui stiamo assistendo.
E qui c’è da sperare che gli attori oggi sulla scena non credano veramente a quello che vanno dicendo. Perché, se così fosse, la rappresentazione si chiuderebbe con una vera e propria catastrofe politica. Per il Pd. Per i sindacati. E per la sinistra in generale.
Cosa avremmo, infatti, se il dibattito parlamentare sulla riforma del mercato del lavoro lasciasse tutto e tutti nella situazione attuale ? Avremmo, da una parte, la fine dello schieramento che sostiene il governo Monti e conseguentemente dell’esperienza del governo tecnico e, contestualmente, il formarsi di uno schieramento di centro-centro destra che andrebbe dal Pdl ad una parte dello stesso Pd e, a fronte di questo, la parte maggioritaria dello stesso Pd, associata alla Sel ma anche, oggettivamente, su posizioni non dissimili da quelle dell’Idv e della Lega.
Avendo così regalato Monti alla destra, l’esito delle elezioni anticipate, trasformate a questo punto in un referendum, potrebbe considerarsi scontato. E non sarebbe certo favorevole alla sinistra. Insomma harakiri.
Naturalmente, i maneggioni/esperti della politica politicante ci invitano a non preoccuparci. “Quella cui state assistendo”, ci sussurrano all’orecchio, “è pura ammuina. “Oggi”, aggiungono, “Pd e Pdl hanno bisogno di fare la faccia feroce per rinfrescare la loro immagine e mantenere un minimo do controllo sul loro schieramento. Lasciate che passino le amministrative e tutto tornerà alla normalità. Dopo tutto”, concludono, “Pd e Pdl sono riusciti a partorire un progetto di riforma elettorale d’amore e d’accordo; e, nella stessa logica, raggiungeranno un’intesa sull’art.18”.
Tutto ciò ci rassicura sino ad un certo punto. Perché, a differenza dal Tonino nazionale, conosciamo benissimo la differenza tra inciucio e intesa; il primo (quello appunto sulla riforma elettorale) è un accordo sotto banco per spartirsi qualcosa a danno di qualcun altro; la seconda (quella sulla riforma del mercato del lavoro) è un compromesso fatto alla luce del sole, assumendosi le proprie responsabilità.
Ora, per raggiunger un compromesso, ci vuole qualcuno che lo proponga. E questo qualcuno non può essere il Pdl, che ha anzi tutto l’interesse, oggi e in prospettiva, a mantenere una posizione rigida.
E allora, l’onere dell’iniziativa politica spetta tutto al Pd. E, se fossimo al suo posto, ci muoveremmo in due direzioni. La prima, fondamentale, sarebbe quella di disintossicare l’ambiente. L’art.18 non è il tema centrale di una auspicabile riforma del mercato del lavoro. La riforma del mercato del lavoro è solo uno dei temi in discussione nell’attuale fase politica (altrettanto se non più importanti, la legge anticorruzione e la “spending review”).
La seconda è di prendere sul serio l’opportunità del dibattito parlamentare sulla riforma del mercato del lavoro distinguendo tra quello che si può ottenere da ciò che, invece, non è alla nostra portata.
E, allora, dovremmo sapere che non c’è, qui ed oggi, una maggioranza sull’ipotesi di reintegro nel caso di licenziamento economico mentre possono e debbono essere soggetto a verifica le motivazioni che spingono l’imprenditore a licenziare e, opportunamente valorizzate, le modifiche positive che nel disegno di legge ci sono.

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