L’Italia delle armi chimiche mai bonificata, un’eredità pericolosa da nord a sud

clicca qui per l’originale

20 FEBBRAIO, 2012   

 

Roma, 20 feb. – (Adnkronos) – Creato dal regime fascista all’inizio degli anni Trenta, doveva essere il cuore di un programma industriale colossale di armamento: l’arsenale chimico prevedeva impianti per distillare gas letali come iprite, arsenico e fosgene in decine di fabbriche costruite in tutta Italia. A questa riserva di ordigni si aggiunsero le bombe chimiche portate in Italia dagli Alleati, nascoste e dimenticate alla fine del conflitto in aree mai bonificate, gettate in mare dagli americani davanti alle coste di Ischia e di Molfetta o dai tedeschi davanti a Pesaro, mentre l’esercito italiano continuava a custodire e sperimentare i gas letali nei boschi del Lago di Vico e persino nel centro di Roma, a pochi passi dalla Sapienza.

Molti comuni di tutta Italia, da almeno settant’anni convivono con stabilimenti, discariche sottomarine e arsenali di armi chimiche dei quali si occupa il Coordinamento Nazionale per il monitoraggio e la bonifica dei siti contaminati da ordigni bellici chimici inabissati o interrati durante e dopo il secondo conflitto mondiale, formato da rappresentati di associazioni e comitati operanti nelle zone più colpite in Italia: dal Lago di Vico a Molfetta, passando per Colleferro, Ischia, Pesaro e Cattolica.

Della situazione italiana si parlerà domani, in occasione dell’incontro ”Armi chimiche: Un’eredità ancora pericolosa – Mappatura, monitoraggio e bonifica dei siti inquinati dagli ordigni della seconda guerra mondiale”, al Senato della Repubblica, con Legambiente e il Coordinamento Nazionale Bonifica Armi Chimiche.

Queste armi, progettate per resistere nel tempo, mantengono ancora oggi i loro poteri velenosi, soprattutto l’arsenico che si è disperso nei suoli come dimostrano le analisi condotte dalle forze armate nella zona del Lago di Vico o gli esami degli organismi sanitari a Melegnano. E poi le bombe all’iprite, gas tossico dal caratteristico odore di aglio, quelle al fosforo e i fusti metallici contenenti anch’essi iprite, lasciati nelle acque pugliesi dalle navi americane.

A Molfetta, dal 1946 alla fine degli anni ’90 sono stati ricostruiti 239 casi di intossicazione da iprite tra i pescatori e lo studio che li riguarda evidenzia che la tossicità del gas non sembra decrescere con il trascorerre del tempo. Basta pensare che la sola nave Uss John Harvey, affondata nel porto di Bari il 2 dicembre del 1943, custodiva migliaia di bombe da aereo caricate con iprite, e che nel corso dell’incursione Luftwaffe furono distrutte altre 16 navi.

Nel 2001, un rapporto dell’Istituto centrale per la ricerca scientifica e tecnologica applicata al mare stabiliva che “i residuati di origine militare affondati nei mari d’interesse nazionale sono certamente in numero tale da costituire un pericolo per chi strascica, movimenta, palustra certi fondali” e aggiungeva che “solo per il Basso Adriatico sono più di 200 i casi documentati di pescatori intossicati e ustionati dalle esalazioni sprigionatesi da ordigni a carica chimica salpati con le reti”.

E così, in un rapporto di Arpalazio del 2010, l’analisi ambientale del Lago di Vico ha rilevato il superamento dei limiti previsti di arsenico, cadmio e nichel. Molfetta e il Lago di Vico sono probabilmente i casi più famosi di siti contaminati da ordigni bellici, ma il problema riguarda numerose altre località, tra cui l’area marina del Golfo di Napoli dove si trovano ordigni contenenti sostanze altamente pericolose quali fosgene, iprite, lewisite o cloruro di cianuro.

Lo aveva denunciato Legambiente nel 2011 anche sulla base di alcuni documenti militari americani, i “rapporti Brankowitz”, sorta di sommari di operazioni di trasferimento e di smaltimento in mare di arsenali chimici effettuati dalle forze armate statunitensi. In uno di questi rapporti del 1987 si legge che dal 1 al 23 aprile del 1946 una quantità non specificata di bombe al fosgene è partita da “Auera” (forse Aversa, base militare americana) con destinazione “il mare” ed è stata presumibilmente affondata al largo della costa campana.

In un altro, del 1989, si legge che tra il 21 ottobre e il 5 novembre 1945, nel “Mar Mediterraneo, isola d’Ischia” sono state affondate quantità non specificate di bombe contenenti fosgene, cloruro di cianuro e cianuro idrato. E la lista non finisce qui. Tanto che in un passaggio di uno dei documenti, la località viene definita “discarica chimica di Ischia”.


 

Articoli Correlati: altre notizie che ti potrebbero interessare

  1. Bombe chimiche nei mari italiani, la denuncia di Legambiente Sono passati oltre 60 anni dalla fine della Seconda Guerra Mondiale, eppure in giro per l’Italia ci sono ancora migliaia di bombe chimiche pronte ad esplodere, senza che […]…

Aggiungi ai preferiti : Permalink.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *