Bombe chimiche, l’eredità bellica minaccia la salute del territorio. E di chi lo abita

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Armi chimiche progettate per resistere nei decenni fanno risentire ancora oggi dei loro effetti nefasti. Un dossier denuncia il problema su scala nazionale. E’ lotta contro il tempo per le bonifiche

legambiente armi chimiche 250
Fonte: Legambiente
RELITTI BELLICI 

nave veleni8500 bombe a orologeria sui fondali marini

Sostanze chimiche e serbatoi con tonnellate di carburante pronte a disperdersi nel mare. Sul fondo degli oceani c’è una bomba ecologica: oltre 8500 navi potrebbero causare un disastro ambientale

Dal ventennio fascista al conflitto dei Balcani. Le guerre e l’industria bellica ci hanno lasciato un’eredità esplosiva: alle porte di Roma, alla periferia di Milano, nel golfo di Napoli, nel mare di Bari e Molfetta, sulla costa di Pesaro, sulle rive del Lago Maggiore e del Lago di Vico stabilimenti abbandonati, siti contaminati e discariche sottomarine hanno trasformato molti angoli di territorio in luoghi pericolosi. LA MAPPA

«Non vogliamo fare dell’allarmismo ingiustificato – precisa Fabrizio Giometti, vice presidente delCoordinamento Nazionale Bonifica Armi Chimiche (velenidistato.it)- l’intento è quello di denunciare un’emergenza fornendo una documentazione dettagliata, che dia seguito a un’efficace azione di bonifica dell’aree contaminate». Il 21 febbraio viene infatti presentato in Senato un dossier nazionale che contiene la mappatura, il monitoraggio e la documentazione sulla bonifica dei siti inquinati. «Un documento – sottolinea ancora Giometti – che raccoglie il lavoro di numerose associazioni locali e comitati cittadini, adesso finalmente riuniti in un unico Coordinamento (cui aderisce anche Legambiente), che ci ha permesso di valutare l’entità del problema su scala nazionale».

Si può leggere nell’Interrogazione parlamentare sui veleni di stato presentata il 3 maggio scorso
“Il problema di questi residuati bellici ha origini lontane ma effetti ancora attuali. L’arsenale chimico venne creato dal regime fascista all’inizio degli anni Trenta ed è stato il cuore di un programma industriale di armamento colossale, con impianti per distillare gas letali come iprite, arsenico e fosgene in decine di fabbriche costruite dallaPuglia alla Lombardia. Durante la guerra a questa sterminata riserva di ordigni mortali, solo in minima parte usata nelle spedizioni coloniali di Libia ed Etiopia, si aggiunse una scorta mostruose di bombe chimiche trasferita in Italia dagli Alleati. 
Alla fine del conflitto queste armi sono state nascoste e dimenticate, senza bonificare i siti dove si producevano o le discariche dove sono state sepolte. Una quantità colossale di ordigni è stata gettata in mare dagli americani davanti alle coste di Ischia e a quelle di Molfetta, dai tedeschi davanti a quella di Pesaro mentre l’esercito italiano ha continuato a custodire e sperimentare i gas letali nei boschi del Lago di Vico e persino nel centro di Roma, a pochi passi dalla Sapienza. […]
Molti cittadini italiani non sanno di abitare in quartieri realizzati intorno, o addirittura sopra, a vecchi stabilimenti di armi chimiche. Solo come esempi esplicativi i casi: dell’Acna di Rho che ha convogliato i suoi scarichi nella falda idrica che scorre verso il centro di Milano, quello di Cesano Maderno che ha contaminato la Brianza e sempre in Lombardia a Melegnano dai suoli della Saronio continuano a sbucare nuvole nocive. I dossier dell’intelligence britannica parlano di 60-65.000 tonnellate di armi chimiche prodotte a Rho, 50-60.000 tonnellate a Cesano Maderno, altre decine di migliaia a Melegnano. Il tutto secondo le priorità di guerra, scaricando fanghi e scarti nei fiumi e nei campi; altri esempi esplicativi sono quelli di due stabilimenti di gas protetti dal segretomilitare, uno a Cerro al Lambro, davanti al casello milanese dove nasce l’Autostrada del Sole, l’altro a Cesano di Roma, nel territorio della capitale”. 

Armi progettate per resistere nei decenni fanno risentire ancora oggi dei loro effetti nefasti (come l’arsenico rilevato nel Lago di Vico o a Melegnano). Perché solo una minuscola parte delle strutture militari attive nel dopoguerra è stata parzialmente bonificata: la gran parte degli ordigni è stata nascosta in mare e in terra in località, in molti casi, ancora top secret.

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