Allarme bombe chimiche “Ecco le armi dimenticate che minacciano le città”

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Fonte: GIOVANNI VALENTINI – la Repubblica
Lunedì 20 Febbraio 2012 11:02 –

Legambiente: siti a rischio da Napoli a Roma   “Nessuna bonifica
avviata sui residuati delle guerre mondiali e dei raid sul Kosovo” 
ROMA – Si dice “bomba” in senso generalmente metaforico: per dire una notizia o un fatto
clamoroso, destinato a scoppiare suscitando reazioni e polemiche. Ma qui diciamo “bombe”, al
plurale, in senso stretto: cioè ordigni esplosivi. Per maggior precisione, bombe chimiche. Sono
quelle che, a più di mezzo secolo dalla fine della seconda Guerra mondiale, giacciono ancora in
fondo ai nostri mari e ai nostri laghi o sul nostro territorio, minacciando l´ambiente e la salute dei
cittadini.
Dal Golfo di Napoli al litorale pugliese nel basso Adriatico, dai fondali pesaresi al lago di Vico
(Viterbo) fino all´area industriale di Colleferro, in provincia di Frosinone, l´inventario delle armi
chimiche compilato da Legambiente disegna la mappa di un pericolo occulto che incombe sulla
nostra sicurezza. Un´eredità invisibile dell´ultima guerra o piuttosto un´ipoteca nascosta che
grava tuttora sulla sicurezza della popolazione.
Oltre ai siti inquinati di cui si conosceva già l´esistenza, l´indagine dell´associazione
ambientalista ne ha individuati altri sulla base di diversi documenti militari. Ma a tutt´oggi non
risulta che siano state svolte indagini accurate per localizzarli esattamente e quantificarne il
materiale pericoloso. Né tantomeno lavori di bonifica. Si sa però che il “campionario” di queste
sostanze chimiche comprende liquidi irritanti come l´iprite o la lewisite; l´arsenico, tossico e
cancerogeno; e ancora il fosgene, un gas asfissiante.
LA DISCARICA DEL BASSO ADRIATICO
Sono oltre 30 mila – secondo il dossier di Legambiente – gli ordigni inabissati nel sud
dell´Adriatico, lungo la costa pugliese, di cui 10 mila solo nel porto di Molfetta e di fronte a Torre
Gavetone, a nord di Bari. Agli arsenali chimici dispersi sui fondali durante la seconda guerra
mondiale, si sono aggiunte le bombe inesplose sganciate dagli aerei della Nato durante il
conflitto del Kosovo nel 1999. 
Fra il 1946 e il 2000, molti pescatori della zona hanno fatto ricorso a cure ospedaliere, dopo
essere entrati in contatto con aggressivi chimici provenienti da residuati bellici. Le analisi dei
sedimenti marini hanno rilevato gravi conseguenze anche nei pesci, causate da sostanze come
l´iprite e concentrazioni di arsenico superiori ai valori di soglia. Mentre la bonifica procede a
rilento, la Regione Puglia ha stanziato intanto 2 miliardi di euro per favorire il ripopolamento
della fauna ittica.
L´ARSENALE CHIMICO DI PESARO
Nel settembre del ‘43, subito dopo l´armistizio, il quartier generale tedesco ordinò di conquistare
tutti i depositi di gas sul territorio italiano, tra cui quello di Urbino, per evitare che cadessero in
mani nemiche. Il materiale venne trasportato su camion fino a Pesaro e Fano, per essere
caricato su un treno. Ma, in seguito all´avanzata anglo-americana, i tre vagoni con 84 tonnellate
di testate all´arsenico rientrarono a Pesaro, vennero svuotati da squadre speciali e buttati in
acqua. Così 4.300 grandi bombe C500T furono caricate su barconi e nell´agosto del ‘44 ben
1.316 tonnellate di iprite finirono in mare dove ancora oggi continuano a essere potenzialmente
molto pericolose.
LE BOMBE NEL GOLFO DI NAPOLI 
Alcuni documenti militari americani, denominati “rapporti Brankowitz”, parlano del Golfo di
Napoli e del mare intorno all´isola di Ischia come siti per lo smaltimento di arsenali chimici.
Durante la presidenza Clinton, per un dovere di trasparenza, si decise di rendere pubblici gli
atti. Ma, dopo l´attentato alle Torri Gemelle, George W. Bush impose di nuovo il segreto.
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Fonte: GIOVANNI VALENTINI – la Repubblica
Lunedì 20 Febbraio 2012 11:02 –
Una “Bozza” di 139 pagine, redatta il 27 aprile 1987 da William R. Brankowitz, contiene un
«sommario storico sul movimento delle armi chimiche». A pagina 5 si legge che nell´aprile del
‘46 una quantità non specificata di bombe al fosgene è partita da “Auera” (probabilmente si
tratta di Aversa, base militare americana) con destinazione il mare aperto: presumibilmente,
venne effondata al largo della costa campana.
A NORD E A SUD DI ROMA 
La “Città della Chimica”, una gigantesca base di oltre 20 ettari, fu voluta da Mussolini e
realizzata sulle rive del lago di Vico (Viterbo). Conclusa nel 2000 la bonifica del sito, le autorità
militari dichiararono che non esistevano ulteriori rischi di contaminazione. Ma nel novembre
2009 l´Arpa (Agenzia regionale protezione ambientale) del Lazio rilevò in un´alga tossica la
presenza di diverse sostanze chimiche inquinanti. Finalmente, nel marzo 2010, le autorità
militari hanno riconosciuto la necessità di ulteriori interventi di bonifica all´interno del centro
chimico. 
A Colleferro, provincia di Frosinone, dopo la prima guerra mondiale il calo della produzione di
esplosivi impose la ristrutturazione della BPD, l´azienda fondata dall´ingegner Leopoldo Parodi
Delfino e dal senatore Giovanni Bombrini. Negli anni ‘70 e ‘80, gli scarti della produzione furono
interrati all´interno del sito industriale, con “ripercussioni devastanti” sull´intera Valle del Sacco.
Ma, secondo Legambiente, la produzione bellico-chimica è proseguita fino ai giorni nostri, prima
in direzione dell´Iraq e poi della Libia.
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