Dal grande freddo un aiuto al sottosuolo e agli animali

17/02/2012 – CHE COSA RESTA DOPO L’ONDATA DI MALTEMPO 
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Un gruppo di cervi e caprioli lungo le sponde del lago di Barrea, L’Aquila

MARIO TOZZI
 

Cosa resta dopo la scheggia di era glaciale che l’Homo sapiens ha traumaticamente rivissuto da qualche settimana, all’alba del terzo millennio?

Lo sappiamo, le strade di Roma, dopo giorni di catene senza neve, saranno ridotte peggio di prima, e, in generale, città e paesi italiani sferzati dalla tempesta di ghiaccio e neve mostreranno danni infrastrutturali e alle abitazioni di entità qualche volta rilevante.

Per non parlare delle vittime e di chi ha sofferto o dei danni all’agricoltura e delle attività produttive rallentate. Ma come reagisce il mondo naturale di cui, bene o male, facciamo ancora parte?

Se il disgelo avverrà repentinamente, milioni di metri cubi di acqua di fusione dei ghiacci si precipiteranno nei fiumi e nei torrenti gonfiandoli e facendoli esondare, anche dove la neve non è stata eccessiva.

I cicli di gelo-disgelo avranno poi aperto le spaccature superficiali delle rocce e delle montagne, accelerando le frane e i processi erosivi, che potranno registrare incrementi anche notevoli per tutta la primavera e l’estate.

Avremo cioè un peggioramento del dissesto idrogeologico, aggravato dall’enorme estensione di asfalto e cemento del nostro Paese che, di fatto, impedisce al suolo di assorbire le acque come una spugna.

Ma se il disgelo invece avverrà dolcemente, il riflesso sarà molto positivo per il mondo naturale e per gli uomini. Ci saranno lo stesso le frane (forse in misura minore), ma la neve riposerà a lungo sui terreni che la assorbiranno lentamente fino a ricaricare le falde idrogeologiche sottoposte, negli ultimi anni, a carenze notevoli, sia a causa del cambiamento climatico sia dell’uso insostenibile della risorsa acqua da parte dell’umanità.

Più acqua nel sottosuolo significa, già nell’immediato, una migliore stagione per la vegetazione, che godrà di una primavera più lussureggiante del solito.

È un fenomeno ben studiato: gli anelli degli alberi segnano le stagioni e c’è da aspettarsi un anello sottile per questo inverno rigido, ma anelli di crescita straordinari seguiranno (come quasi sempre accade). Da un inverno rigido, boschi e foreste traggono maggior impeto di crescita negli anni a venire.

In generale la stessa affermazione si può fare per gli animali: se ragioniamo in termini di specie, e non di individui, la morte degli esemplari più deboli, i meno adatti darwinianamente alla sopravvivenza, non potrà che rinforzare il resto della specie, che ne trarrà giovamento fino a vere e proprie esplosioni evolutive.

È vero, molti ungulati (cinghiali, cerbiatti, caprioli) hanno sofferto e sono morti per il freddo e la mancanza di cibo, ma queste specie sono ormai fin troppo vitali in Italia e il loro sacrificio si tramuterà in disponibilità di cibo per gli affamati carnivori stressati da neve e ghiaccio. Lupi soprattutto, ma anche orsi e volpi, che troveranno carcasse di cui cibarsi già oggi o al loro prossimo risveglio dal letargo.

L’abbondanza di acque primaverili vedrà le sorgenti ricaricate e i laghi e i fiumi ben al di sopra del loro livello minimo vitale: la vita ripartirà prepotente anche da questi luoghi e verrà incoraggiata fino all’arrivo della stagione calda che, anche per questo, sarà forse più sopportabile.

Esiste poi una categoria particolare di animali che si era abituata a vivere nelle aree metropolitane o comunque nei centri abitati sfruttando il ben noto fenomeno dell’«isola urbana calda», quello per cui la temperatura nelle città è sempre superiore a quella delle campagne (anche di qualche grado). Il freddo e la neve hanno ricacciato questi animali in altri rifugi, ma stanno già rispuntando fuori e, magari, hanno bisogno di una mano.

Specialmente i piccoli uccelli insettivori, cui possiamo lasciare molto più che la classica briciola di pane acquistando i prodotti adatti e appendendoli ai rami o ai tetti.

A Roma le estese colonie di pappagalli che si erano adattate negli anni alla vita capitolina nella grandi ville saranno state decurtate, ma non sterminate: anche in questo caso si può dare una mano al mantenimento della colonia mettendo a disposizione cibo.

Si tratta di «ospiti caldi» che si spostano in funzione delle fasce climatiche. E se in passato erano i molluschi tropicali a salire alle nostre latitudini, oggi sono i barracuda o i pappagalli a migrare per via del caldo crescente: una punta di freddo può ridurli in sofferenza ma difficilmente li annienterà.
Ci sono infine quegli animali, ormai metropolitani, che una mano se la danno benissimo da soli: cornacchie, gazze, gabbiani e piccioni superano brillantemente ogni colpo meteorologico recuperando cibo fra i rifiuti e adattandosi in poco tempo alle condizioni rigide.

Per non dire dei ratti, che certo non si lasciano impressionare da qualche centimetro di neve e se ne sono stati al caldo delle fogne trovando comunque rifugio e alimento.

Sono animali che spesso destano fastidio ma che invece dimostrano, in maniera lampante, come ci si possa autoproteggere in caso di eventi estremi. Vuoi vedere che ci insegnano qualcosa?

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