Chaplin o Charlot? Il mistero della nascita

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Charlie Chaplin in una scena del «Monello» (1921)

Neanche i servizi segreti inglesi riuscirono a scoprire se 
fosse nato a Londra,
Parigi o su un carro di zingari

ANDREA MALAGUTI

CORRISPONDENTE DA LONDRA

Miti che rischiano di cambiare bandiera. Uno è Sir Charles Spencer Chaplin. Noto al mondo come Charlot. Poeta, attore, musicista, regista, leggenda del film muto, genio del 900 e Cavaliere della Regina. Di lui si sa che aveva passaporto britannico e che morì in Svizzera, nella casa di Corsier sur Vevey, nel 1977. Il giorno di Natale.

Uscita di scena di gran classe, niente da dire. Più complicato stabilire il momento della nascita. L’anno è il 1889, presumibilmente il 16 aprile, 96 ore prima di Hitler. Ma la domanda senza risposta resta un’altra: dove? A Londra, come sostiene la sua biografia ufficiale, nel parco degli zingari di Black Patch vicino a Birmingham, come suggerisce una lettera di un presunto testimone oculare nel 1971, o, peggio, alla prima periferia di Parigi, come immaginano alcune imbarazzate fonti dell’MI5? Chaplin o Charlot? Inglese o francese?

Questione non irrilevante che neppure i servizi segreti, sollecitati da Washington, riuscirono a risolvere. Nel dubbio decisero di non approfondire. «E’ una nostra gloria e ce la teniamo». Perfetto. Ma qual è la storia raccontata nel documento segreto 416-100-594 inviato dagli americani a Londra e svelato dopo sessant’anni dall’Archivio Nazionale britannico?

E’ il 1952 e gli Stati Uniti revocano a Chaplin il visto d’ingresso, anche se l’attore vive da quella parte dell’Oceano da quasi quarant’anni. Contestualmente chiedono alla Gran Bretagna di aprire un’inchiesta su di lui. Vogliono sapere chi è davvero quell’uomo che ipnotizza il pianeta in bombetta e bastone di bambù. Un innocuo sognatore o un pericoloso rivoluzionario manipolato dai russi? E’ il Senatore Joseph McCarthy ad avere scatenato la battaglia.

Sono giorni di caccia alle streghe e le accuse contro il Monello sono quelle classiche: turpitudine e affiliazione al partito comunista. Chaplin ha avuto quattro mogli (due le ha sposate sedicenni) e nei primi anni del secolo non ha nascosto delle blande simpatie per la sinistra. Gli americani lo accusano di avere finanziato il partito comunista con i proventi dei suoi film e nel 1948 lo sottopongono a un intterogatorio diretto. Lui risponde con una frase che sta a metà tra l’indignazione e lo sconcerto. «Non voglio fare nessuna rivoluzione, l’unica cosa che mi interessa è creare nuovi film». Lo dice con un filo di comprensibile fastidio.

Approfittando di un viaggio a Londra per la presentazione della prima di Luci della ribalta, il procuratore generale americano Thomas McGranery ordina all’Ufficio Immigrazione di bandirlo dal Paese. Chaplin reagisce con amarezza. «Io posso fare stare bene le persone, divertirle. Almeno lo spero. Perché mi fanno questo?». E’ scosso e per quanto dal 1948 il suo sia uno dei trecento nomi inseriti nella black list della FBI a cui è impedito di lavorare a Holywood è convinto che le cose si risolveranno. «Non possono impedirmi di tornare a casa». Si sbaglia. Possono persino setacciare il suo passato.

Ci pensa l’MI5. Che però non solo non trova prova dei suoi legami con i comunisti, ma neppure il suo certificato di nascita, che per altro nell’Inghilterra di fine 800 non era obbligatorio. Un rapporto riservato parla di «possibile nascita in Francia». Possibile non è abbastanza. Fine indagine. Chaplin è inglese e inglese resta. La risposta di Londra a Washington è evasiva. «Non abbiamo niente contro di lui». Gli anni passano, Chaplin si trasferisce in Svizzera, capisce che la sua storia americana è finita, si prende tempo per riflettere masticando i pensieri come pezzi di sandwich. Alla fine sbotta pubblicamente.

«Non tornerei più negli Stati Uniti neppure se il presidente fosse Gesù Cristo». In effetti lo farà nel 1972 – presidente Nixon – quando l’Academy Awards gli consegnerà l’Oscar alla carriera. Che cosa succede quando ci togliamo il giubbotto anitproiettile della nostra rabbia e proviamo a essere sinceri? Il vagabondo gentiluomo ha 83 anni e ancora non sa esattamente dove è nato. Inghilterra o Francia poco gli importa. Adesso casa sua è la leggenda e si commuove di fronte all’interminabile standing ovation del teatro. «Grazie. Siete gente sincera e meravigliosa», sussurra. Poi si infila la bombetta e si allontana camminando come un pinguino.

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