Risorgiamo! La crisi del desiderio

Risorgiamo! La crisi del desiderio PDF Stampa E-mail
Martedì 14 Febbraio 2012 22:21
 
 
Faccio seguito alla mia ultima chiacchierata, intitolata “Caro professor Monti, io sto con i giovani”, nella quale ho posto l’accento sulla attuale crisi che investe quasi tutti noi, soprattutto i giovani, e che l’operato del professor Monti, anziché attenuare e lenire, aumenta ed acuisce in modo sconsiderato. 

Ho ritenuta questa crisi un fatto veramente grave, della cui gravità forse non ci si rende conto appieno. 
Questa crisi che, voglio sottolinearlo, colpisce in modo particolarmente grave i giovani, che li attanaglia, viene, del resto, messa in luce mirabilmente dal Censis nel suo “44° Rapporto sulla situazione del nostro Paese” (1). 

Non è una bella immagine quella dipinta dal Censis che paragona l’Italia ad una ameba, e cioè ad una entità informe e senza spina dorsale. “Anche se ripartisse a breve la marcia dello sviluppo – si legge in quella attestazione di stima, chiamiamola così, – la nostra società non avrebbe lo spessore ed il vigore adeguati alle sfide che dobbiamo affrontare”. 

Il Rapporto affonda il dito nella piaga ed usa anche l’immagine di “un campo di calcio, senza neppure il rilievo delle porte dove indirizzare la palla”. 
Una società piatta in cui non riusciamo più ad individuare un qualcosa che indirizzi e disciplini i nostri comportamenti, i nostri atteggiamenti, i nostri valori; in cui, per usare il riferimento calcistico, non riusciamo più a vedere la porta. 
Un quadro d’insieme che non dovrebbe lasciarci indifferenti. 

Il Censis mette in luce una crisi che considera madre di tutte le altre crisi, da quella economica a quella politica, da quella etica a quella sociale e di relazione: è la crisi del desiderio, la crisi cioè della tensione progettuale verso il futuro, la crisi della libertà di impegnarsi, la crisi della decisione di agire. 

E’ il desiderio il motore che ci spinge a guardare con fiducia oltre i legacci che ci fermano e che ci impediscono di decollare; senza il desiderio resta quella mancanza di volontà, tipica di molti comportamenti attuali. 
Di questa crisi del desiderio, naturalmente, sono i giovani i primi a farne le spese, anche se sono i primi a non averne colpa. 

Occorre ritrovare la capacità di desiderare, è addirittura necessario restituirla ai giovani, anche se, stando così le cose, non è facile: occorre puntare sulla formazione di una solida identità personale che dia forza alla fatica, sempre più grande, di dare un senso alla esistenza. Va da sé che quando ci si accinge a fare programmi per il futuro di un Paese, uno degli elementi principi e basilari della programmazione deve essere quello attinente i giovani; non è possibile prescindere da loro. 

Occorre, quindi, mettervi mano, seriamente e subito, senza vincoli di interessi che non siano quelli dei giovani. Sono per questo necessarie delle norme, perché laddove tutto è permesso, laddove dove tutto è possibile, lì trova facile cittadinanza un senso di insufficienza che non dà risultati se non quelli di creare ansia, senso di inadeguatezza, incapacità di iniziativa. Ugualmente può dirsi laddove tutto è vietato, ove tutto è sottoposto al potere. 

Occorre, altresì, sapere o imparare a distinguere tra desiderio e bisogno, perché il desiderio, al contrario del bisogno, che prevede un appagamento concreto di uno stato di necessità e lì si ferma, contiene in sé lo stimolo continuo verso qualcosa difficile da raggiungere; contiene la perenne tensione verso qualcosa che è sempre al di là e che è all’origine dell’agire, perché il desiderio è per sua natura aperto e libero, ma non di una libertà intesa come pura opzione senza legami e senza responsabilità, ma una libertà di assunzione di responsabilità sociali e personali, una libertà verso la quale deve tendere l’educazione sostanziale e non formale di ognuno di noi. 

In questo campo sportivo trovano cittadinanza, nel nostro calcio, due allenatori cui viene dato scarso peso, due allenatori che dovrebbero essere, invece, punto di riferimento: la scuola e l’università. 

Questi due allenatori affermano di mirare al recupero dell’efficienza, ma intendono l’efficienza come riduzione dei costi, che, per di più, mirano ad ottenere senza l’eliminazione degli sprechi ed il superamento delle resistenze di chi trae dalla attuale situazione indebiti vantaggi. (Lo stesso Presidente Napolitano, in occasione della cerimonia di apertura dell’anno scolastico 2010-2011, evidenziò le priorità dell’istruzione e della ricerca pur nella necessità della riduzione del debito pubblico). 

Per porre termine a questo estenuante tiro alla fune tra chi propone tagli e chi reclama risorse e per poter stabilire chi sia il vincitore non si può non riflettere sul significato del sistema scolastico ed universitario tenendo ben presente, durante questa riflessione, che l’istruzione scolastica e quella universitaria non sono costruttive di per se stesse, ma possono esserlo solo in riferimento a un progetto, di persona e di società, alla cui costruzione sono finalizzate; senza mirare a fini utilitaristici o funzionali di bassa lega che escludono la crescita integrale delle persone. 

Siamo purtroppo in piena emergenza educativa e non sappiamo che tipo di educazione vogliamo. 
Non disperiamo, però. Incominciamo a valorizzare il sentire le cose internamente ed a gustarle; sentiamoci partecipi degli avvenimenti che ci circondano, che ci investono; facciamo in modo che questi avvenimenti entrino in rapporto con noi stessi, non limitiamoci alla conoscenza di formule e di dati: immergiamoci nell’educazione e nell’apprendimento. 

Impegniamoci. 

Mettiamo qualcosa di nostro per contribuire a fare della nostra Italia un Paese meritocratico. In una parola: Risorgiamo! Risorgiamo dal nostro torpore partecipando realmente e concretamente alla nostra resurrezione. 

Non cediamo all’adulazione ed alle lusinghe di chi mira ad adoperarci a suo uso e consumo, ma non chiudiamoci in noi stessi: prendiamo in considerazione il punto di vista degli altri, con i fatti e non con le parole. Inseriamo, ciascuno in funzione delle proprie responsabilità, l’elemento cognitivo, nella ricerca e nell’adempimento del nostro lavoro. 

I risultati saranno migliori. 

E migliore sarà la nostra classe dirigente, la nostra classe politica, la nostra classe giurisdizionale. 

E’ un investimento che costa sacrificio, non un sacrificio economico, ma un sacrificio dell’egoismo; un sacrificio che produrrà i suoi frutti: maestri del passato ce ne hanno dato l’esempio, ora tocca a noi. 

Claudio Santella

(1) Franco Angeli, Milano 2010 – Aggiornamenti Sociali – gennaio 2011.

 

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