Tè, Grappa, Coperta e Torcia il mio Kit per Sopravvivere sui Treni da Orvieto a Trieste

LA SCRITTRICE O ABITI IN UNA CITTÀ SERVITA DAI FRECCIAROSSA OPPURE SI È COSTRETTI A DISAGI MAGGIORI DI VENTICINQUE ANNI FA

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I guasti e la sporcizia. «Così presi la polmonite» Notturni Folle la decisione di sopprimere i treni notturni, per la cui sopravvivenza i lavoratori stanno protestando alla stazione di Milano Il degrado è la norma, ma perché i Nas non controllano? Le stazioni sono ormai shopping center senza servizi. Vengano le ferrovie tedesche e austriache a salvarci

  

Almeno questa volta ho la soddisfazione di dire: io non c’ ero. Non ero lì chiusa al buio e al freddo, nell’ assoluta ignoranza del mio destino, in uno dei tanti treni bloccati per ore dalla neve e nel gelo in qualche campagna italiana. Non si è trattato, però, di un caso fortunato ma di una scelta ragionata e consapevole, frutto di quasi quarant’ anni di frequentazione assidua delle Ferrovie dello Stato, ora Trenitalia. Martedì, infatti, consultando il meteo su Internet ho scoperto che si stava avvicinando una precipitazione nevosa definita «abbondante» sul Nord e Centro Italia, che avrebbe poi toccato Roma nel week end. E così, senza troppi indugi, ho cancellato tutti gli impegni che mi avrebbero costretto ad andare nella capitale nei giorni seguenti. Troppo vivo era infatti il ricordo di un viaggio in treno di qualche anno fa. Niente a che fare con l’ emergenza di questi giorni, soltanto una banale spruzzatina di neve, di quelle che, in inverno, sono piuttosto frequenti nella pianura padana; appena pochi centimetri, ma sufficienti per bloccare l’ Intercity Napoli – Trieste, in piena campagna, poco dopo Padova, e farlo rimanere per diverse ore al buio e al freddo, senza alcuna informazione né generi di conforto per chi viaggiava. Per fortuna, proprio in virtù della mia lunga esperienza con Trenitalia, mi ero portata dietro il kit «inverno/lunga percorrenza», che consiste in uno zainetto contenente un thermos con del tè caldo, una bottiglietta di grappa, alcuni panini, una torcia e una bella e morbida coperta di pile, giusto per limitare i possibili danni. Il treno è arrivato poi a Trieste alle quattro di mattina, con cinque ore di ritardo. A quell’ ora naturalmente non ci sono taxi, non esiste una sala di aspetto, né un locale aperto. L’ unica speranza che rimane è quella di avere qualche buon amico disposto ad alzarsi nel cuore della notte e venirvi a prendere. È stato allora che, al mio kit «inverno/lunga percorrenza» ho aggiunto anche la bomboletta spray antiaggressione, perché le stazioni di notte non sono molto amiche delle donne. Non guido volentieri la macchina e non sono un’ amica del cielo, dunque mi muovo prevalentemente in treno. Fin dal suo inizio, questa consuetudine – quando ancora c’ erano le Ferrovie dello Stato, ma poi in un crescendo rossiniano con Trenitalia – è stata segnata da eventi che definirei poco esaltanti. Inizialmente, pensavo si trattasse di un karma personale, un destino avverso che voleva farmi scontare non so quali colpe di remote vite precedenti, ma poi, parlando con altri viaggiatori – perché quando si sta ore o si rischia l’ assideramento in una stazione senza sale d’ aspetto viene spontaneo entrare in quella condizione che è una delle più belle prerogative del viaggio in treno: la conversazione – ho capito che non si trattava di un mio caso personale, ma di un infausto destino che affliggeva tutta la nazione. E mi sono convinta anche che tutte queste avventure, raccolte insieme, potrebbero trasformarsi in una meravigliosa opera letteraria collettiva, in confronto alla quale Le mille e una notte apparirebbe come una sequela di pedanti eventi. Una volta, conversando con un gentile passeggero, fui incoraggiata a scrivere qualcosa su queste avventure. «Chi, se non lei può raccontarle?» Io ero titubante ma lui, dopo essersi rivelato come un dirigente delle Ferrovie in incognito, mi incitò: «La prego, lo faccia. Faccia conoscere la realtà». Da dove cominciare? Dalle porte impazzite dei nuovi interregionali che, per ben tre volte, hanno messo a rischio la mia incolumità, chiudendosi a tutta velocità mentre stavo scendendo? E, sempre per restare nell’ argomento porte, come dimenticare le tante e troppe volte che non sono riuscita a scendere nella stazione dove ero diretta perché le suddette porte non si sono aperte? Per non parlare poi dei servizi igienici dei nuovi interregionali e Intercity che hanno voluto modernizzarsi, pressurizzando i bagni come i treni ad alta velocità, con il risultato di avere tazze stracolme, intasate di liquami, rubinetti che non erogano acqua e sapone che non scende. Abitando in una città di provincia, Orvieto, e provenendo dalla città peggio collegata in Italia, Trieste, naturalmente sono una forzata di questi treni dove un tale degrado è la legge quotidiana. Perché, mi chiedo, non sono mai saliti i Nas a controllare o l’ ufficio di Igiene, così solleciti in altri casi nel tutelare la nostra salute? E che dire della volta che ho preso la polmonite a Bologna, sull’ Eurostar: meno 8 in stazione e più 35 a bordo? Alla mia richiesta di abbassare un po’ il termostato, sempre la stessa risposta: «Non siamo in grado di aggiustare il guasto». Negli Intercity, purtroppo, questa è la norma. Si può salire in gennaio e trovare un’ implacabile aria condizionata sparata dalle fessure sotto il finestrino. Per questa ragione, il mio kit Trenitalia comprende anche un potente nastro adesivo marrone, da pacchi. Ricordo ancora la gratitudine di due simpatiche signore toscane davanti alla mia abilità nel bloccare quel soffio glaciale. Nella loro smania di scimmiottare i treni ad alta velocità, poi, i moderni interregionali non hanno più finestrini apribili e d’ estate, con l’ aria condizionata quasi sempre fuori uso, è assolutamente impossibile respirare. Verrebbe da dire, carri bestiami, ma le recenti normative europee hanno dotato i camion per gli animali di conforti maggiori dei nostri treni di seconda categoria. Inutile poi tentare di nutrirsi o di abbeverarsi in qualche modo a bordo, perché ormai sono stati cancellati tutti i vagoni ristoro. Passiamo adesso alla scintillante e modernissima Frecciarossa. Avrete capito che io amo i treni e dunque sperimentarne uno nuovo mi mette in uno stato di gioiosa eccitazione. Dato che il viadotto passa proprio sopra ad Orvieto Scalo, una volta, dovendo andare a Milano, avevo detto alle bambine: «A una tal ora alzate lo sguardo dalla finestra della vostra classe e mi vedere sfrecciare come un razzo». Povere bambine, sono state ore con il naso per aria, inutilmente. Il treno è arrivato già da Napoli con 20 minuti di ritardo e altri 25 ne ha accumulati a Roma; un quarto d’ ora dopo la partenza, si è bloccato in una galleria dopo Settebagni, e lì è rimasto per qualche ora. Naturalmente ho perso tutti gli appuntamenti che avevo a Milano. Avevo così deciso di consolarmi con un pranzo al ristorante, ma, ahimé, anche lì una brutta sorpresa. Il forno a microonde che scaldava i pasti precotti era rotto. Per non parlare della gentilezza squisita e dall’ affabilità di una delle hostess della ristorazione, la quale, un’ altra volta, davanti alla richiesta se fosse possibile mangiare solo un piatto del menu, mi rispose: «Se non ha soldi, si compri un panino». Potrei, come Sherazade, andare avanti per ore e ore a raccontare e forse molti lettori ricorderanno le ore passate insieme in treno, come quella volta in cui partii un pomeriggio d’ inverno da Milano con il treno completamente al buio e con una simpatica bigliettaia che si affacciava ad ogni scompartimento, chiedendo. «C’ è un ingegnere, un elettricista tra voi, insomma qualcuno che ci capisca qualcosa?» E via torme di volonterosi con coltellini svizzeri, forcine dei capelli e nastri isolanti a trafficare nell’ inespugnabile quadro elettrico. Tutto inutile, abbiamo viaggiato per sei ore nel buio e nel freddo più totale. Purtroppo, viaggio in treno in tutta Europa e dunque ho ben chiari quali sono i livelli medi delle altre ferrovie, dove, tanto per fare un esempio, i vagoni silenziosi – dove non si può usare il cellulare – esistono già da metà degli anni 90, e non solo nelle carrozze super Vip di prima classe. Da ciò si evince che, nelle altre realtà, il viaggiatore è ancora un viaggiatore e viene trattato con rispetto, mentre da noi, con la scusa «con quel poco che pagate» – refrain ripetuto ossessivamente nei riguardi dei viaggiatori dei treni interregionali – c’ è solo un profondo disprezzo venato di menefreghismo. Secondo l’ attuale gestione di Trenitalia, chi viaggia in treno dovrebbe vivere unicamente nelle fortunate città baciate dal transito delle Frecce. Tutti gli altri sarebbe meglio che usassero il trasporto su gomma, come ho letto in una recente intervista. Del resto, i dati ci confortano in questa visione. Nel periodo 2002/2011, il 72,1% delle risorse statali è finito a strade e autostrade (59.856,9 milioni di euro) mentre il restante 27,9% (23.081,7 milioni) al trasporto su rotaia, di cui 15,4 alle metropolitane e solo il 12,5 alle linee ferroviarie. In un tempo in cui dovremo essere consapevoli che le vie di trasporto da privilegiare sono quelle non alimentate dal petrolio, si penalizzano le ferrovie, e lo fa si in un momento in cui è in costante crescita il numero dei pendolari. Sale il numero dei pendolari e si taglia il numero dei treni, naturalmente facendo aumentare le tariffe. Non c’ è qualcosa di folle in tutto questo? Come è stata folle la decisione di sopprimere i treni notturni, per la quale sopravvivenza i lavoratori ancora stanno protestando alla stazione di Milano. Treni che univano l’ Italia, fondamentali per l’ unità e l’ umanità del nostro Paese. Certo, sono finiti i bei tempi delle Ferrovie dello Stato. Ci hanno spiegato che non siamo più viaggiatori, ma clienti. Ma essere clienti, presuppone l’ idea di avere a disposizione una scelta di prodotti dal quale selezionare quello più adatto al nostro gusto. Invece noi, vittime di questa situazione, siamo «costretti» a usare Trenitalia, senza nessuna possibilità di scelta. Siamo cioè obbligati, come tutti i pendolari possono confermare, a viaggiare in condizioni vergognose per un Paese che si ritiene civile e appartenente alla Comunità Europea. Allora la grande domanda che viene è una. Com’ è possibile che questo degrado, questa perdita di una parte importantissima della realtà del Paese, sia avvenuto nell’ assoluto silenzio della classe politica? Come è stato possibile che l’ intera viabilità ferroviaria italiana sia stata sacrificata sull’ altare delle Frecce? Io, ad esempio, impiego molto più tempo ora per andare da Orvieto a Trieste, e con molti maggiori disagi, rispetto a 25 anni fa; non ci sono quasi più treni diretti, si è costretti a cambiare molte volte in stazioni che sono prevalentemente degli shopping center e non offrono alcun servizio al viaggiatore. Servizio, appunto, è questa la parola completamente scomparsa. Continuo infatti caparbiamente a credere che viaggiare in treno sia un servizio per il Paese e che, come un servizio, dovrebbe funzionare. Oppure, allora, voglio essere davvero un cliente, ed è per questo che, insieme a tutti i miei amici pendolari di Orvieto, nelle notti di luna piena, ci mettiamo a ballare sotto i piloni della Direttissima. E con questa danza, di sapore vagamente druidico, vogliamo invitare le ferrovie tedesche e austriache – che pare già arrivino fino a Bologna – a venire a salvarci, coprendo la derelitta linea secondaria che porta a Roma o a Firenze. Come Cheyennes, siamo già tutti con l’ orecchio appoggiato al suolo per riuscire a percepire le amichevoli vibrazioni dei suoi locomotori, pregustando il confort, l’ igiene e la comodità che ci offriranno le loro carrozze. Perché allora sì, davvero vogliamo essere clienti. © Susanna Tamaro www.susannatamaro.it **** L’ autrice Triestina Susanna Tamaro è nata a Trieste nel 1957. Diplomata in regia al Centro sperimentale di cinematografia, è autrice, tra l’ altro, dei romanzi Per voce sola (1991), Va’ dove ti porta il cuore (1994, quindici milioni di copie vendute nel mondo); Luisito (2008) Le ultime opereNel 2011 Susanna Tamaro ha pubblicato il romanzo Per sempre e L’ isola che c’ è. Il nostro tempo, l’ Italia, i nostri figli , una raccolta di saggi brevi, alcuni già usciti sulla stampa, altri inediti

Tamaro Susanna

Pagina 21
(13 febbraio 2012) – Corriere della Sera

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