Le carte da gioco, vennero importate a Viterbo nel 1379 e diffuse in Italia

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Le carte da gioco, vennero importate a Viterbo nel 1379 e diffuse in Italia PDF Stampa E-mail
Domenica 22 Gennaio 2012 01:10
 
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Foto: Carte da gioco “viterbesi” della metà dell’800

Credo che pochi lo sappiano, ma le carte da gioco hanno avuto la loro diffusione in Italia essendo state importate la prima volta a Viterbo.

 

E’ il cronista viterbese Niccolò della Tuccia che scrive: «1379. Fu recato in Viterbo il gioco delle carte che in saracino parlare si chiama nayl».

Ancora su un’altra trascrizione, conservata nella Biblioteca degli Ardenti, leggo: «Anno D.ni 1379. Fu recato in Vit(erb)o il gioco delle carte da un saracino chiamato Nayl», in un’altra trascrizione della cronaca medesima invece il nome è Hayl.

La memoria è riferita anche dall’Enciclopedia Treccani: «L’etimologia comunemente accettata per “naipes” è infatti dall’arabo “nã’ ib”, luogotenente; un noto passo di Giovanni di Iuzzo di Covelluzzo, in una cronaca manoscritta conservata negli archivî viterbesi, narra (p.28 verso): “Anno 1379 fu recato in Viterbo el gioco delle carte che venne de Serasinia e chiamasi tra loro Naib”».
Nelle pagine seguenti leggo, «La prima fabbrica italiana di carte da gioco pare che abbia avuto sede in Viterbo».

Un bando del 1458 sembrerebbe sia la prima notizia in merito al gioco delle carte, poi, il 9 Luglio 1495 i priori stabiliscono che è proibito «iocare a zara, sozo, crucha, ronfa, terza e quarta, bassetta e qualunque altro jocho prohibito, tanto di dadi quanto di carte, a’ pena de uno ducato d’oro». Venivano, inoltre, puniti coloro che davano ospitalità ai giocatori, anche in forma privata e coloro che prestavano i dadi o le carte e i denari della posta in gioco.

Quest’ultimi venivano sequestrati al momento in cui erano scoperti i giocatori che avevano violato le disposizioni.

Il gioco dei dadi e delle carte era proibito, tanto che, riferisce Umberto Congedo, «un bando dei priori del 1455 vietava «ludum taxillorum aut chartarum», e tale divieto era confermato da un’ordinanza del Governatore nell’anno seguente». Ma, forse, il divieto ebbe poco effetto, infatti, nel Consiglio generale del 23 Marzo 1469, frate Francesco da Viterbo invitò le autorità a che si vietasse non solo il gioco, ma anche la vendita delle carte e dei dadi.

Il male era così sconfitto sin dalla sua origine. Tali esortazioni furono prese talmente in considerazione, che furono inserite nello Statuto di Viterbo di quell’anno, nella rubrica LIII del libro III.

Le pene inflitte sia ai giocatori che a coloro che fornivano i dadi o le carte, erano assai severe.Venivano puniti anche quelli che prestavano denaro per il gioco e gli osti o gli albergatori che consentivano il gioco d’interesse nei propri locali.

L’8 Agosto 1469 il governatore, per far migliore chiarezza, e probabilmente anche alla luce del fatto che poco o nulla era cambiato, elenca i giochi proibiti e che non era consentito fare «ad alcuno gioco di dadi vetito [vietati] nè ancora di carte cioè al gioco de la condannata, a la terza et la quarta et altri giuochi vetiti [vietati]», chi contravveniva doveva pagare cinque ducati d’oro e se c’era un denunciante questi aveva in premio la terza parte e veniva tenuto segreto. Ma, scrive ancora Congedo, che i giocatori continuarono a contravvenire alle ordinanze e che quindi il governatore Niccolò rinnovò le proibizioni riducendo la pena ad un ducato.

Anche le confraternite nei propri statuti proibivano il gioco d’interesse che poteva produrre motivi di lite e di vizio.

In tempi più recenti, il 21 Agosto 1847 Domenico Moscatelli, dal Seminario di Viterbo, prese in affitto i locali dell’ex Convento e chiesa dei Padri Paolotti, ossia la Chiesa delle Fortezze, per il commercio di chincaglierie, pellami e la fabbrica dei zolfanelli fosforici. A tal proposito una pasquinata affermava che al mondo solo due cose erano infallibili: Pio IX ed i fiammiferi di Moscatelli, il quale sulle scatole scriveva, appunto “infallibili”.

Domenico morì nel 1850 e, verso il 1855, il figlio Scipione Moscatelli (1813 – 1907) rinnovò il contrat
to d’affitto. Di lì a poco tempo vi impiantò anche una fabbrica di carte da gioco, chiudendo in seguito quella dei fiammiferi. La condurrà personalmente fino alla fine di quel secolo e le carte da gioco prodotte, per la loro particolarità nel disegno, furono dette carte viterbesi; vennero diffuse e commerciate in tutta la penisola. 

Lasciata l’azienda da Scipione al figlio Nicola, questi chiuse la fabbrica e cedette la licenza a Guglielmo Murari di Bari, con il patto di mantenere la ragione sociale e le caratteristiche delle carte viterbesi. Murari, già nel 1884, produceva carte da gioco. Ma le cose non ebbero un esito favorevole, infatti, verso il 1914 i figli di Scipione, Cecilia e Nicola, vendettero i macchinari, per fabbricare le carte, ai tipografi Enrico e Giulio Agnesotti, ai quali si associarono, fino a verso il 1920, Crispina Danna con il consorte Riccardo Marini.

L’ex Convento delle Fortezze fu donato da Nicola Moscatelli, morto nel 1932, all’Ospizio di san Carlo. La produzione di Carte da gioco, da parte degli Agnesotti, avvenne nei locali, al piano terra, del Palazzo Bussi – Belli in Via Principessa Margherita, oggi Via Matteotti, demolito verso il 1935 per creare l’odierna Via Marconi. Gli Agnesotti continuarono a stamparle fino al 1953.

Ho scritto tutto quanto sopra perché ai Moscatelli non è dedicata neppure una via, credo però che ne abbiano pieno diritto.

Mauro Galeotti

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