L’imprenditoria femminile nella Tuscia

 
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Lunedì 23 Gennaio 2012 19:15
 
 
 
 
 
 

 

Foto: Vita Sozio, Ferindo Palombella, Francesco Monzillo

Presentato dalla  Camera di Commercio il volume che illustra l’attività del Comitato per l’Imprenditoria femminile e fotografa la situazione delle imprese rosa nella Tuscia. “Affidabili, determinate, efficienti, collaborative”. Sono le donne alla guida delle imprese secondo quanto dichiarato oggi dal presidente della Camera di Commercio di Viterbo Ferindo Palombella nel corso della presentazione del volume “Imprenditoria femminile nella Tuscia: analisi e scenari”.

“Con adeguate misure sociali ed economiche – ha dichiarato Palombella – anche le imprese della provincia di Viterbo potrebbero beneficiare più diffusamente del grande potenziale umano espresso dalle donne. Purtroppo, invece, dobbiamo registrare le molte difficoltà di inserimento e di permanenza per l’universo femminile nel mondo del lavoro. 

In tal senso ritengo che in questi anni il Comitato per la Promozione dell’Imprenditoria femminile, guidato con competenza e passione da Vita Sozio con la collaborazione e la dedizione di tutte le componenti, abbia rappresentato con continuità un valido e utile punto di riferimento per le donne”.

“In oltre dieci anni di attività – ha aggiunto Vita Sozio – ho trovato sempre grande disponibilità dell’Ente camerale ad ascoltare e accogliere le nostre richieste, riuscendo a mettere a disposizione delle imprenditrici opportunità di formazione, agevolazioni per l’accesso al credito, sostegno per l’adesione ai bandi regionali, partecipazione a manifestazioni fieristiche, tutoraggio per le imprese mature. Sono stati anni intensi che hanno permesso di gettare le basi per la definizione di un comune denominatore a beneficio delle imprese femminili e del territorio”.

I dati riportati nel volume L’Imprenditoria femminile nella Tuscia sono stati illustrati da Francesco Monzillo, segretario generale della Camera di Commercio, il quale ha sottolineato: “Nella provincia di Viterbo riscontriamo un elevato tasso di femminilizzazione. 

Infatti l’incidenza femminile sul totale delle imprese attive è pari al 28,9%, il tasso più elevato in ambito regionale dopo Frosinone (32,7%), e superiore di 4,8 punti percentuali al dato medio nazionale (24,1%). Tuttavia questo dato è strettamente correlato alla difficoltà per le donne di inserirsi nel mondo del lavoro, per le quali l’autoimprenditorialità diventa l’ultima spiaggia prima dell’inoccupazione”. 

Dall’analisi strutturale riportata nel volume emerge che la grande maggioranza delle imprese dirette da donne si concentra nell’agricoltura, che racchiude ben il 42,5% delle 9.928 imprese attive gestite da donne del territorio (pari a 4.217 unità). Fanno seguito il commercio, pari al 26,2% del totale, le strutture ricettive il 7% e le “altre attività di servizi” il 6,2%. 

Una distribuzione settoriale che ricalca abbastanza bene quella media regionale e nazionale, se non per una concentrazione nell’agricoltura decisamente più marcata (Lazio 14,2%; Italia 19,7%) e un contributo minore del commercio (Lazio 34%; Italia 30,7%) e delle attività manifatturiere (Viterbo 4,2%; Lazio 5,5%; Italia 8,3%) differenze che riflettono le peculiarità del modello di sviluppo della provincia.

Dal punto di vista del profilo giuridico, primeggiano le ditte individuali, sia in provincia di Viterbo che a livello regionale e nazionale. È da sottolineare innanzitutto, come tale forma giuridica racchiuda, per il 2010, il 66,8% delle imprese femminili attive del Paese ed il 61,6% di quelle della regione Lazio, mentre in provincia di Viterbo raggiungono addirittura quota 76,70%.

Le caratteristiche individuali delle imprenditrici, disaggregando i dati del Registro delle Imprese per classe d’età, fanno emergere chiaramente come la stragrande maggioranza abbia un’età compresa tra i 30 ed i 49 anni (il 43,7%); seguono le fasce d’età 50-69 anni (con il 37,5%) e 70 anni e oltre (con l’11,8%), mentre la classe 18-29 anni racchiude il 6,8%.

Il 95,5% delle imprenditrici in provincia di Viterbo è di origine italiana, superando di quasi cinque e tre punti percentuali il peso che queste assorbono, rispettivamente, nel Lazio e in Italia. Ne consegue che l’imprenditorialità straniera riveste in provincia un ruolo più marginale (Viterbo 4,4%, Lazio 9%, Italia 7,2%), inferiore altresì al contributo che danno alla componente maschile (Viterbo 6,2%; dato ancora una volta più basso rispetto al dato medio delle altre aree territoriali di riferimento: Lazio 12,3%; Italia 9,2%). La nazionalità più diffusa è quella romena con il 15,7%, segue quella tedesca 6,4%, cinese (6%) e marocchine 5,3%.

Il volume riporta anche un’indagine svolta tra 210 imprenditrici da cui emerge che il 69% di esse affermano di aver introdotto innovazioni nella propria azienda nel corso dell’ultimo triennio di tipo organizzativo-gestionale, di prodotto, di marketing e di processo. 

Il 32,4% delle imprenditrici intervistate sostiene di aver intrapreso la strada del lavoro autonomo spinte dall’opportunità di uno sbocco lavorativo. Altra motivazione ricorrente è la tradizione familiare, indicata dal 30,5% delle rispondenti. 

A queste va ad aggiungersi, in ordine di importanza, l’aspirazione a svolgere un’attività imprenditoriale (11,4%), l’esperienza acquisita e la consapevolezza delle proprie capacità (10%), il desiderio di un’affermazione professionale (8,6%) e la possibilità di un miglioramento del reddito (6,7%). È forte la volontà di affermarsi. Occupano invece un ruolo marginale le agevolazioni pubbliche (0,5%).

Rispetto alle difficoltà incontrate al momento dell’avvio dell’impresa al primo posto vi sono gli adempimenti burocratici, reputati troppo complessi nel 42,4% dei casi. Altri ostacoli rilevanti sono il reperimento dei fondi necessari (24,8%) e  e la ricerca di clienti e fornitori (16,7%). 

Per finanziare la propria impresa nel 59% dei casi si è ricorso principalmente al capitale proprio e per il 37,6% alle banche . Da segnalare come un numero contenuto di imprenditrici abbia beneficiato delle agevolazioni previste dalla Legge 215/1992 (5,7%).

Dall’indagine si evince anche il sostegno fornito all’imprenditoria femminile dalla Camera di Commercio, il principale soggetto al quale le imprenditrici si sono rivolte per ottenere informazioni ed assistenza (il 36,7%); seguono i consulenti (32,9%) e, sebbene a distanza, gli altri imprenditori (18,1%). Le associazioni imprenditoriali (11,9%) e gli Enti pubblici (Regione, Provincia, Comune; 10,5%) rivestono un ruolo secondario, per quanto non trascurabile.

Le imprese “rosa” della provincia, hanno una limitata attività sui mercati esteri,così come accade per la maggiormente molte imprese della provincia di Viterbo. Non va sottovalutata, comunque, la quota di imprenditrici che afferma di operare in prevalenza al di fuori dei confini nazionali, pari al 6,7%. La stragrande maggioranza delle imprese femminili lavora sul mercato domestico in particolare: il 63,3% dichiara di essere presente principalmente nel contesto provinciale, mentre il rimanente 28,6% si suddivide equamente tra chi esercita soprattutto nel resto del Lazio e del Paese.

Crisi. Le imprese femminili della provincia sono alle prese con la difficile sfida di minimizzare le perdite economiche ed i conseguenti impatti sociali determinati dall’avversa congiuntura economica, come testimonia la quota di imprenditrici che ha dichiarato di aver subito un calo nell’acquisizione di ordini (il 64,3%), con conseguente calo delle vendite e contestualmente del fatturato. Andando ad analizzare più nello specifico i risultati dell’indagine, si evince, infatti, come il 43,8% delle imprese abbia sperimentato una contrazione del volume d’affari tra il 2009 ed il 2010. Da non trascurare che il 21,4% ha registrato un aumento ed un altro 30,5% non ha subito variazioni.

Nonostante le difficoltà incontrate, solo l’8,6% delle imprenditrici ha ridotto la base occupazionale della propria azienda. Coloro che l’hanno estesa sono il 4,3%, mentre, e soprattutto, l’87,1% l’ha mantenuta invariata. Si è cercato, evidentemente, di difendere i livelli occupazionali aziendali, consapevoli dell’importanza di preservare il capitale umano interno, sia per motivi sociali che per ragioni meramente economiche: sarebbe poi costoso assumere e dover formare ex novo nuovo personale

Le performance economiche negative hanno prodotto inevitabilmente un peggioramento degli assetti di bilancio delle imprese, sui quali hanno gravato i pagamenti ritardati dei clienti. Il 35,2% delle imprenditrici sostiene di aver ricevuto da parte dei committenti la richiesta di spostare in avanti i pagamenti. Il 31% delle intervistate afferma di aver incontrato maggiori difficoltà nell’accesso al credito. 

Difficoltà riconducibili sia all’introduzione di Basilea 2, che ha complicato la fase di accettabilità delle garanzie offerte dalle aziende, sia al degrado dei conti di molte imprese, che ha reso realisticamente più rischioso il credito. Una imprenditrice su due avverte una maggiore rigidità in sede di richiesta di garanzie, conseguenza tipica di una minore propensione al rischio da parte degli istituti di credito. Qualora l’istruttoria vada a buon fine, spesso il credito concesso non è adeguato rispetto alla domanda (35,4%), mentre un terzo delle intervistate segnala che il costo del denaro è troppo elevato.

A fronte di difficoltà del credito, diviene interessante analizzare come le imprese si siano attrezzate per reagire. Il 41,5% si rivolge ad “altri canali di finanziamento” (in primis, la famiglia) che non comprendono però gli operatori finanziari alternativi alle banche, ai quali fa invece riferimento il 7,7% delle imprese. 

Sono numerose anche le imprese che ricorrono agli scoperti di conto corrente presso gli istituti di credito (29,2%) e che ritardano i pagamenti dovuti ai propri fornitori (27,7%), propagando di fatto gli effetti della recessione lungo l’intera filiera produttiva di appartenenza e generalizzandola potenzialmente all’intero sistema produttivo. Un altro 10,8% dichiara di aver ritardato i pagamenti ai lavoratori, contribuendo così alla contrazione dei consumi finali che finisce per creare ulteriori problemi alle imprese.

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