Limiti al web il vicolo cieco della politica

 

clicca qui per l’articolo originale da La Stampa.it

19/1/2012

 

di GIANNI RIOTTA

 

La giornata di ieri, 18 gennaio, passerà alla cronaca come il Giorno in cui i New Media hanno vinto il derby contro gli Old Media, il digitale ha superato nel torneo la vecchia pellicola, i blog redatti in garage azzittito le rockstar, i filmati traballanti di registi adolescenti sulla rete Youtube oscurato i kolossal alla Ben Hur. Era infatti la giornata di protesta contro due proposte di legge americane dal nome bizzarro, una alla Camera, detta Sopa Stop Online Piracy Act, l’altra al Senato, detta Pipa, Protect Intellectual Property Act, ma con lo stesso obiettivo: difendere il diritto di autore delle grandi compagnie che producono spettacolo, informazione, musica, film, dalla distribuzione gratuita su internet.

 

Prima di venire alle opposte ragioni dello scontro, vediamone l’esito. Il web ha stravinto costringendo importanti politici, come il senatore della Florida Marco Rubio, cocco dei conservatori e in odore di Casa Bianca, a ritirare il sostegno dato alla legge anti pirateria. Il «no» a nuovi controlli sul copyright online schiera subito il presidente Obama, stavolta d’accordo con quello che dovrebbe essere a novembre il suo rivale repubblicano, l’ex governatore Mitt Romney. Chiunque vinca le elezioni d’autunno, considererà la lobby economica del web, il motore di ricerca Google, il social network Facebook, l’enciclopedia libera Wikipedia, il canale di video Youtube, più importante di classici giganti come le Camere di Commercio Usa, la Riia, associazione delle case discografiche Bmg, Emi, Sony, Universal, Warner, che concede i dischi d’oro dai Beatles a Beyonce, le case cinematografiche. O perfino di News Corporation, del magnate Rupert Murdoch, attivo su twitter @rupertmurdoch.

 

Per fare passare, o bocciare, una legge di difesa del diritto d’autore le lobby rivali hanno investito decine di milioni di dollari, con il parlamentare Issa a guidare i contrari e il texano Smith i pro. A favore del web senza filtri contro la pirateria ha giocato l’efficace mobilitazione della rete. Wikipedia, l’enciclopedia scritta dal basso che ha oscurato ormai la Britannica e serve ai compiti a casa dei ragazzi in tutto il mondo, ha dipinto di nero la propria homepage, la prima pagina. Google ha listato a lutto il logo. La rivista Wired s’è presentata online con i testi spruzzati di nero, come nelle antiche lettere dei detenuti sottoposti a censura. A New York, dove si sta creando un polo tecnologico che vuole rivaleggiare come idee e produzione con Silicon Valley, i 20.000 tecnici del NY Tech Meetup hanno organizzato picchetti davanti agli uffici dei senatori Schumer e Gillibrand, persuasi che i limiti al web inducano disoccupazione. Reddit, Bing, Internet archives, tutte le piazze informatiche si sono riempite di proteste.

 

 In poche ore il futuro di Sopa e Pipa s’è offuscato. La tattica di comunicazione della lobby new media, «No alla pirateria!», «Internet senza censure», ha facilmente umiliato la tattica di comunicazione della lobby old media, «Difesa del diritto d’autore», «Non si tratta di libertà, ma di furto e contraffazione di idee e spettacolo». Difficile mobilitare chi va al cinema, compra gli ultimi cd o paga ancora le rate dell’Enciclopedia rilegata in 18 volumi, mentre listare a lutto l’homepage attiva una valanga di telefonate ai politici incerti. E il leader repubblicano Boehner riconosce: «Non c’è maggioranza parlamentare per la legge Sopa».

 

 

 

Dietro gli slogan e le lobby, patinate o cyber che siano, qual è la sostanza della questione? I giganti della musica, dello spettacolo e dell’informazione chiedono protezione contro i siti che, specie dall’estero, sifonano i loro contenuti e li ridistribuiscono, in tutto o in parte, gratis. Rozzamente, volevano oscurare questi siti, trascurando però il pericolo di rappresaglia internazionale: se approvata, la legge filtro poteva, per esempio, bloccare il sito russo Kontakte, un supermaket dello spettacolo gratis, ma non impedire al Cremlino di censurare a sua volta Google o Amazon.

 

I cinesi sono stati lesti a accusare Washington di censura, dopo anni in cui gli Stati Uniti hanno chiesto libertà sul web a Pechino. Propaganda, certo, ma la studiosa Rebecca MacKinnon osserva che il libero mercato delle idee e della comunicazione, se controllato per legge, potrebbe trasformarsi in una grottesca copia di Weibo, l’occhiuto sistema informatico cinese, che scruta o prova a scrutare – ogni post, messaggio, testo, video che i cittadini caricano su internet.

 

La lobby dei media tradizionali ha perduto la partita del 18 gennaio perché ha combattuto una guerra già perduta, quando i giornali hanno diffuso gratis i propri testi a metà degli Anni Novanta, quando – prima degli iTunes e Jobs – la musica e i film si sono scaricati senza problemi, con siti come Rojadirecta che permettono di vedere tutte le partite di calcio senza pagare. Non è con una museruola goffa che il problema si affronta. Ma un problema esiste: il lavoro intellettuale, di un cronista, una rockstar, un regista, un attore, come si tutela? La quantità gratis può uccidere la qualità pay, tema che già nelle news è rovente. Google, eBay, Amazon, Facebook sono state perfette nell’ammantarsi di libertà ieri, ma sono aziende con bilanci e profitti. Assurdo imporre loro di controllare ogni riga, ogni immagine, ogni link dei milioni che ogni giorno il web genera. Impossibile pensare però che possano per sempre essere considerate non profit alla Wikipedia. E farà discutere, ancora ieri, una sentenza della Corte Suprema che riconosce il diritto d’autore, anche per temi musicali, libri o video che pure siano considerati «di pubblico dominio», una scelta, in un certo senso contraddittoria rispetto alla disfatta Sopa. Del resto lo studioso Shirky, guru del «web libero» twitta ieri «sarà ancora una lunga battaglia».

 

La soluzione, molto probabilmente, non sta oggi nella lenta politica, ma ancora nella veloce tecnologia e rapida cultura. Tablet, iPad, Kindle, smartphones offrono nuove piattaforme di consumo e crescita per aziende, artisti e giornalisti che vivono di contenuti. E’ curioso, e in un certo senso confortante, che il primo autore a vendere solo online oltre un milione di e-book, i libri elettronici, senza casa editrice o agente letterario, prezzo fisso 0,99 centesimi di dollaro di cui 0,35 vanno allo scrittore, si chiami John Locke, proprio come il padre dell’illuminismo liberale.

 

 

 

Twitter@riotta

 

 


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